La carrellata autobiografica non è tale, nel senso: non vi è la benché minima intenzione a celebrare qua (ci mancherebbe, sarebbe stato strano il contrario), piuttosto abbiamo a che fare con brandelli del curriculum rodriguesiano, sicuramente molti avranno colto le pitture che poi campeggeranno sulla locandina di The Ornithologist (2016), mentre molti meno i colibrì e le farfalle meccaniche di Mahjong (2013) - (ci sarà mica da ragionare sul parallelo con le colleghe monarca che viaggiano da un Paese all’altro? E poi: vita-morte, natura-finzione, essenza-trasformazione, andranno considerati accoppiamenti del genere per un’indagine approfondita di Où en êtes-vous? Probabilmente: sì) -, in generale la commistione tra gli stralci presi direttamente dall’archivio casalingo (la prima visita a Venezia per Parabéns! [1997] e la seconda per Il fantasma [2000]), il dietro le quinte notturno di To Die Like a Man (2009) oltre alle continue citazioni all’amico-collaboratore João Rui Guerra da Mata, puntellano un bel percorso di memorie che, per gli ammiratori del regista che lo hanno accompagnato nelle ultime decadi, diventeranno anche un po’ le loro.
venerdì 29 ottobre 2021
Où en êtes-vous, João Pedro Rodrigues?
Où en
êtes-vous, João Pedro Rodrigues? (2017) si genera da una
domanda a sua volta scaturita da una richiesta, quella del Centre
Pompidou che nel 2016 dedicò a Rodrigues una personale
retrospettiva, ed il quesito che alberga nel titolo è l’innesco
del cortometraggio: dove sei João?
Superato il mezzo secolo di vita per l’autore portoghese,
semplicemente uno dei migliori autori in circolazione,
sembra essere arrivato il momento di fare un piccolo bilancio
artistico-esistenziale e per mettere in pratica questa necessità
viene posta subito una condizione che sta alla base di tutto il
cinema del lusitano, è una questione di corpi, maschili, di pelle e
di muscoli, di peni e scroti, per cui non stupisce il fatto che il
film si apra sul sesso di Rodrigues perché lui, e il riflesso che
appare e scompare nel vetro su una grana visiva che pare quasi da
vecchia pellicola, è un’emanazione della sua arte, uno dei tanti
ectoplasmi carnali che la popolano. L’impostazione dell’opera
guarda ad un passato che collima con il trascorso umano e
professionale di JPR, però il flusso così costruito non si dà, per
fortuna, in maniera agevole perché è reso accidentato da un
ingrediente para-narrativo costituito da dei brani di Thoreau e
Hawthorne e da uno simil-documentaristico che riprenderebbe la
migrazione di alcune farfalle dagli Stati Uniti al Messico (ma
codesta informazione nel film non c’è, la si legge solo nelle
pigre sinossi in Rete). L’unione dei vari elementi ci restituisce
il Rodrigues più riflessivo di sempre (e l’immagine del sé stesso
allo specchio risulta esemplare), ed è un atteggiamento che potremmo
addirittura definire inaspettato ma che vista la cornice culturale in
cui il film è sorto e visti gli anni di carriera ormai accumulati
non stona affatto.
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