Prendi
una dozzina di donne danesi e mettile di fronte ad una videocamera
chiedendo loro di parlare della sessualità a trecentosessanta gradi,
l’intento sarebbe quello di fare un casting per un film che tratta
l’argomento delle interviste, solo che, tutto ad un tratto, le due
registe dietro al progetto, Mette Carla Albrechtsen e Lea Glob
(quest’ultima già intercettata in passato per la co-direzione di
Olmo e il gabbiano, 2015), si
rendono conto di come le audizioni che stanno effettuando siano esse
stesse un film, Venus
(2016), appunto. Perciò abbiamo un’opera che, con camera fissa
sulle protagoniste e le domande fuori campo di Albrechtsen
e Glob, è concentrata esclusivamente sulle ragazze che si
avvicendano sopra lo sgabello, storicamente penso che di operazioni
equivalenti ne sia strapieno il cinema, ricordo ad esempio il nostro
Silvano Agosti che con D’amore si vive
(1984) aveva affrontato temi avvicinabili con modalità similari,
certo è che chiaramente i tempi cambiano rapidamente e nella nostra
società in cui non si riesce mai a dare il giusto spazio alle quote
rosa (l’inutilità di questo blog è una cartina tornasole: quanti
registi uomini e quante registe donne ci sono in archivio? A naso
direi che c’è una netta preponderanza dei primi sulle seconde),
ben vengano approfondimenti che danno voce a chi la merita,
soprattutto nell’area sessuale che nel pensiero comune sembra più
una prerogativa del maschio lasciando la femmina nelle retrovie.
Ovviamente tutti sappiamo che non c’è differenza di genere in
fatto di desiderio, eccitazione, trasgressione ma anche paura,
timidezza, insicurezza quando si parla di sesso, Venus
non fa altro che ricordarcelo.
Certo è che
qua non siamo nel Dipartimento delle pari opportunità, e se vogliamo
fornire un’opinione focalizzata sul film è inevitabile affermare
quanto non ci sia francamente niente di imprevedibile, le
testimonianze sono largamente pronosticabili per cui è difficile
stupirci se una donna dice di aver avuto nella sua vita pochissimi
uomini o se un’altra invece afferma di averne collezionati a iosa,
non c’è poi particolare sconcerto nel sentir conversare di
masturbazione o fantasie erotiche né di orgasmi o scappatelle
omosessuali, il fatto è che ritengo sia arduo discorrere davvero
della propria intimità al cospetto di esimi sconosciuti perché
spesso è complicato farlo perfino con se stessi, e quindi ciò che
ne risulta è una sequela un po’ superficiale di aneddoti,
pensieri, confessioni e via così per circa un’ora e venti. Brave
le due registe ad accendere l’attenzione sulla galassia muliebre (e
poco importa se siamo a Copenaghen, è plausibile che in ogni altro
luogo dell’occidente avremmo sentito le medesime parole), meno
brave nell’espletazione del compito filmico con ulteriore nota di
demerito per l’inizio con il posticcio dialogo epistolare e per la
fine con il “mettersi a nudo” delle ragazze, ambedue le
situazioni ricreate risultano scolastiche e non necessarie.
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