Mi correggo: di più ci sono alcune immagini raccolte dalla regista accompagnate musicalmente da Nat King Cole che spezzano i monologhi dei superstiti (nei paesaggi post-apocalittici – innevati tra l’altro, come se ci si trovasse in un film di Lopušanskij – rimane un autobus in bilico sul tetto di un edificio), è una scelta particolare quella di inserire un morbido brano del cantante americano perché cozza un po’ con lo sfascio immortalato, tuttavia, a ben vedere, lo spirito del progetto non sembra indirizzarsi verso una cupa elegia ma, al contrario, come si può desumere dal titolo inglese, è orientato a cogliere la vita che c’è dopo. La parola chiave è apputno vita: inevitabilmente quella vissuta dall’umanità segnata dalla catastrofe, nelle loro testimonianze, nei loro ricordi, uguali, per filo e per segno, alle affermazioni di qualunque altro soggetto reduce da un cataclisma a random, il che crea una sorta di fratellanza globale dove i mariti hanno perso le proprie mogli o dove una risata può ancora esorcizzare la paura. Si parla del domani qua e della sua quintessenza: la Speranza, che Momoko Seto, lontanissima dalle astrazioni sperimentali di Planet ∑ (2014), recapita a chi guarda con tutto il rispetto e l’umiltà possibili.
venerdì 3 luglio 2020
Arekara
Anche
se non viene mai nominato, né dagli intervistati né da Momoko Seto,
si intuisce che l’ambiente devastato ripreso in video e gli annessi
sopravvissuti che ancora lo calpestano si localizzano in una zona del
Giappone investita nel marzo del 2011 dal tremendo maremoto che colpì
la parte settentrionale del Paese. Non è la prima volta che da
queste parti si affronta l’argomento, nell’ordine abbiamo avuto:
Himizu
(2011), The Tsunami and the Cherry Blossom (2011) e Soliton
(2014), opere diverse tra loro poiché fondamentalmente è stato
diverso l’approccio alla questione tsunami, a tale cerchia si può
ora aggiungere Arekara
(2013) che rispetto agli altri esemplari appena menzionati è il più
intimo, il più lineare, nonché, con ogni probabilità, anche il più
povero da un punto di vista produttivo (forse è un testa a tesa con
il lavoro di Hirabayashi), semplicemente nel febbraio del 2012 la
Seto si è recata a Ishinomaki, una cittadina vittima della
furia sismica, per ascoltare le voci delle persone scampate alla
calamità, Arekara è il condensato lungo un quarto d’ora
dei suddetti incontri, niente di più, niente di meno.
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