Corea del Nord: la morte della
figlioletta fa sbroccare l’operaio Sooyoung, il regime dovrà
fare i conti con la sua ira… vandalica.
Un americano che fa un film sulla Corea
del Nord? Da non crederci, e invece è vero [1]: questo John
Arlotto, del quale non vi so dare alcuna informazione, gira nel 2007
il suo primo cortometraggio incentrato sulla dittatura di Kim Jong-il
(anche se il riferimento al leader deceduto nel 2011 non è
esplicitato a chiare lettere) con focus su un gruppetto di lavoratori
circondati da cartelloni propagandistici piene di facce sorridenti
che dicono “va tutto benone”. La questione fondamentale è
che sebbene gli attori e la lingua siano locali il punto di vista del
film è chiaramente anti-coreano e ciò che mette in
piedi Arlotto sembra un trattatello di contro-propaganda
caratterizzato da una dose di sentimentalismo gratuito tipicamente
statunitense. Beninteso: non si critica la presa di posizione del
regista la cui legittimità è inattaccabile, bensì
i modi di esposizione che descrivono in modo talmente elementare fino
a sfiorare la parodia involontaria chi sta dalla parte del bene e chi
da quella del male. Più che un lavoro di denuncia Deface
assume, o meglio: vorrebbe assumere, connotati universali mirati a
descrivere la condizione dell’uomo oppresso e dei suoi tentativi
per riuscire a spezzare le catene. In tali tentativi Arlotto pesca un
escamotage intelligente come lo storpiamento degli slogan posti sui
manifesti, un moto rivoluzionario pacifico che va annoverato tra i
pregi del film, se però osserviamo il disegno complessivo la
tendenza che diventa quasi parabolica (ed è paradossale,
proprio un americano che si mette a dare lezioni di non
belligeranza…) nel voler insegnare ciò che è giusto e
cosa non lo è indispettisce la coscienza di ogni buon
spettatore che si rispetti.
_________
[1] Al tempo in cui scrissi queste
righe, più o meno tre anni fa, non era ancora uscito The
Interview (2014).
Nessun commento:
Posta un commento