giovedì 22 agosto 2013

The Act of Killing - L'atto di uccidere

Micidiale il meccanismo che sorregge The Act of Killing (2012): penetrare all’interno degli ingranaggi dell’attuale società indonesiana e della sua storia recente utilizzando come grimaldello silenzioso il cinema. Andiamo per gradi: Joshua Oppenheimer, americano di nascita stabilitosi in Indonesia dal 2004, inizia a lavorare presso Medan, grossa città non distante da Sumatra, in una comunità di sopravvissuti allo sterminio comunista del ’65, qui comincia a sentire storie tremende a proposito dei parenti (tutti uccisi) di queste persone, incuriosito cerca di approfondire l’argomento ma si scontra con una reticenza figlia di un terrore, di un vero e proprio terrorismo impunito, così gli vengono suggerite le seguenti parole: “lo sai, l’altra cosa che puoi fare è filmare gli assassini” (fonte). Gli assassini: uno stuolo di malavitosi ormai attempati legati al gruppo paramilitare Pancasila Youth che contribuirono alla salita al potere di Suharto attraverso una caccia spietata nei confronti degli oppositori politici (comunisti, o presunti tali) arrivando ad uccidere migliaia e migliaia di esseri umani. La proposta di Oppenheimer, aiutato dalla collaboratrice Christine Cynn e da un collettivo di tecnici locali accreditati come “anonimo”, è a prova di idiota: chiedere ai gangster, in occasione della ricorrenza delle loro malefatte, di reinterpretare in un film le loro gesta, assumendo alternativamente il ruolo dei carnefici e quello delle vittime.

La finestra che Oppenheimer apre si affaccia su un baratro profondissimo, una gola nera dove il presente ha eroicizzato i sicari. In preda a quello che appare come un delirio collettivo, Anwars Congo e soci vengono idolatrati pubblicamente e perfino invitati in televisione per discutere tronfiamente della realizzazione del progetto in cui sono coinvolti, e loro, immarcescibili e privi di rimorso (o quasi), si cullano sulle proprie imprese che ri-perpetrate e ri-viste nel salotto di casa diventano l’occasione giusta per mostrare ai nipotini quanto era bravo il nonno; il gesto brutale, mitizzato dalla telecamera (addirittura un “morto” ringrazia il killer di averlo ucciso!), diviene simulacro storico, l’esaltazione dell’orrore, della prevaricazione, della violenza, illumina il lato oscuro della Storia evenemenziale indonesiana, le riproduzioni da b-movie di pessimo rango non sono altro che inconsapevoli confessioni, boomerang che ritornano brutalmente al mittente. Il lavoro di Oppenheimer si carica di un duplice ruolo perché riesce a smontare il sistema criminale in modo pacifico grazie all’accondiscendenza dei diretti interessati, giocando d’astuzia e facendo leva sull’ego di chi non conosce il significato della parola umanità, e parallelamente scrive un magistrale trattato documentaristico che sonda in totale libertà gli antipodi del cinema, realtà e finzione, opponendoli e sovrapponendoli, attualizzando l’oscuro passato tramite un’azione di denuncia e di teoria.

E il cinema, in modo sorprendente, si erge come ultimo baluardo di un’etica per l’uomo poiché è grazie ad esso che i gangster, per la prima volta dai tempi delle efferatezze, si pongono dei quesiti di ordine morale, come se il rivedersi nei panni di spietati assassini smuovesse la loro coscienza dormiente, al punto che Congo, impossibilitato a proseguire la rappresentazione di un omicidio, si ritrova sul luogo dei delitti a rigurgitare una matassa che, a sua insaputa, si annidava dentro di lui da molto tempo.

5 commenti:

  1. Molto curioso di vederlo. Grazie per la recensione

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  2. Accludo il parere sempre autorevole di Giulio Sangiorgio, per chi fosse indeciso.

    http://www.spietati.it/z_scheda_dett_film.asp?idFilm=4702

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  3. Sembra molto interessante. Sai se ci sono sottotitoli in italiano in giro?

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  4. qualora verranno rilasciati sottotitoli potete mettere un link per favore?

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