lunedì 29 novembre 2021

Damned Summer

Verão Danado (2017) è un film comprensibile, lo è, prima di ogni cosa, nell’innesco creativo/ispirativo che l’ha generato: non si fa alcuna fatica, infatti, a mettersi nei panni di Pedro Cabeleira, regista portoghese che al momento di girare questo suo lungometraggio di debutto era poco più che ventenne, per capire che il protagonista, Chico, è lui, così come è potenzialmente qualunque altro dei ragazzi che entrano ed escono dal film. Sì, è un’opera generazionale ma lo è con grande consapevolezza perché Cabeleira sa bene cosa fa e dove vuole andare, ovvero nella rappresentazione il più aderente possibile alla concretezza di una gioventù elettrica e sempre in botta, un tumulto continuo fatto di bpm e luci stroboscopiche, di droghe e amori fatui che durano una notte e poi se ne partono per Londra, lontano da una Lisbona che, per paradosso poiché Cabeleira mira al reale, si trasfigura in un lungo sogno lisergico. È roba autobiografica, è il rimettere eventi e situazioni vissute sulla propria pelle in un contesto cinematografico, è un’espressione singola e molteplice che accomuna un po’ tutti gli studenti fuori sede del mondo. E quindi Verão Danado è parimenti comprensibile anche nell’offrirsi allo spettatore, non ci vuole molto ad afferrare la struttura disordinata che lo permea, apprezzabile corrispondenza di un’esistenza sregolata che vive di rave in rave, a tal proposito le prolungate sequenze all’interno dei club (casalinghi o meno) hanno un forte potere immersivo, sono scene efficaci che si distinguono e che fanno distinguere la pellicola da molte altre che hanno tentato approcci simili.

Solo che, in fondo, una così netta comprensibilità non è che abbia incendiato l’animo di chi scrive. E dire che Cabeleira aveva iniziato con un mediometraggio che si occupava di altro (Estranhamento, 2013), mentre della materia di Damned Summer se ne sono occupati altri prima di lui, e non pochi. Senza scordare gli alibi di un giovanissimo dietro la mdp, dico che il ritratto di una fascia d’età persa in un qualche limbo e proposta in un contenitore realistico è un manifestarsi già registrato dai nostri occhi, e non bisogna andare troppo lontano perché rimanendo in Portogallo João Salaviza (e qui è presente un “suo” attore, Rodrigo Perdigão) ha sondato il tema in lungo e in largo, e sono convinto che ci saranno innumerevoli autori, lusitani e non, che si sono impegnati in tale direzione (ricordo un film polacco di poco conto dal titolo All These Sleepless Nights [2016] che ha parecchio in comune con Verão Danado). Anche il quid pluris del film, quell’abbandonarsi ai ritmi martellanti della techno e la psichedelia che da lì scaturisce grazie ad un oculato utilizzo delle luci, è sì, come dicevo sopra, notevole, però non raggiunge il top, non sbaraglia letteralmente le percezioni perché comunque Noé è arrivato anni prima ed è tutt’ora inarrivato. C’è quella sensazione di déjà vu che, parlando in modo soggettivo, impedisce un pieno appagamento fruitivo, fermo sempre restando che chi ha, o ha avuto, solo due decadi e poco oltre sulle spalle è generalmente un campione di onanismo e non certo uno che di mestiere vorrebbe fare il regista, il quale, bazzicando tra Locarno e Torino, dimostra già di essere a buon punto, gli auguriamo per il futuro di alzare il tiro della traiettoria.

2 commenti:

  1. Visto anche io non molto tempo fa e sono parecchio d’accordo col tuo parere. Ti si continua a leggere sempre con gran piacere.

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  2. Ti ringrazio Ciro, la voglia è sempre meno ma si tenta di rimanere a galla.

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