Deve sentirsi molto a suo
agio nei territori rurali Christophe
Farnarier (e come dargli torto?), perché quattro anni dopo El somni (2008), con una
parentesi come direttore della fotografia – sua attività
principale – per Familystrip
(2009) e un’altra come co-regista in The First Rasta (2010), ritorna a
girare un documentario in zone non lontane da dove pascolavano i
greggi del signor Pipa, siamo infatti nuovamente vicini al confine
francese, nella Catalogna interna, più precisamente la Sierra
Cavallera, una zona montuosa dove si arriva anche a toccare gli oltre
duemila metri di altitudine. Lo scenario de La
primavera (2012) è perciò
facilmente accostabile al lavoro precedente dell’autore
marsigliese, non solo, diciamo che anche a questo giro c’è una
forte concentrazione filmica su una precisa figura del suddetto
scenario, se prima era un vecchio pastore adesso è una donna, Carme,
che attraverso l’occhio di Farnarier incarna un po’ tutte le
mujeres del
mondo agreste, una santa terrena splittata in una moltitudine di
ruoli (da mamma a contadina, da allevatrice a cameriera), una
stacanovista che non cede mai e che mai si siede se non per consumare
il pasto con i familiari. La primavera è Carme,
poiché, in uno slancio poetico, essa è la primavera tout court,
d’altronde, con le sue sbocciature e fioriture, non esiste stagione
più muliebre.
Di tale ritratto
Farnarier fornisce piccoli
tasselli che vanno a formare quell’inconcepibile mosaico che è la
vita stessa, con silenzio e misura la mdp si appoggia invisibile nei
luoghi dove la summenzionata vita annota il proprio scorrere, e
allora, come il titolo fa già intuire, sarà l’infinita ciclicità
del tempo a dettare l’andatura, e il vivere agricolo non può che
seguire i propri rituali ancestrali, sicché dalla semina arriverà
il raccolto e dal maiale carni e salsicce, col primo caldo, poi, ci
sarà bisogno della tosatura, e avanti così (così: una gallina
sgozzata, non sappiamo per cosa, sarà soltanto un punto
dell’infinito cerchio), fino al ritorno di un altro inverno.
Incastonata in un giro sempiterno, Carme è, per merito dello sguardo
di Farnarier, un piccolo essere umano condannato alla ripetizione (ma
noi animali metropolitani siamo tanto più liberi?) con però una
tenacia e una forza che la rendono un soggetto ideale per un progetto
del genere, e quando la vediamo alla festa di paese ridere al
concerto dell’anziano con l’organetto, siamo quasi contenti per
lei e per il momento di svago che è riuscita a ritagliarsi.
La primavera, ma
credo che lo abbiate capito, non fa rivoluzioni, quello che mostra
il cinema lo ha già largamente mostrato in passato, tanto che altri
registi (vedi Michelangelo Frammartino) ci hanno costruito sopra
un’intera carriera, oppure, giusto per rimanere in Spagna, un
titolo equiparabile e probabilmente anche superiore è The Sky Turns (2004), ad ogni modo,
a differenza di quella settima arte improntata al guadagno i cui
esemplari sono tutte esili copie le une delle altre, delle proposte
che viaggiano in senso contrario vanno sempre omaggiate con la
visione, anche se non arricchiranno troppo il vostro bagaglio
cinematografico.
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