Marito e moglie cinesi si
recano negli Stati Uniti a causa della prematura
scomparsa della giovane figlia. C’è un funerale da organizzare e
un dolore immane con cui imparare a convivere.
Fata
Morgana (2016) è la tesi di Amelie
Wen, giovane filmmaker proveniente da Pechino ma stabilitasi in terra
americana per inseguire i propri sogni di celluloide, a chiusura del
suo percorso formativo presso l’American Film Institute
Conservatory di Los Angeles, quindi comprenderete subito che la
taglia del corto sotto esame non può certo rientrare tra i pesi
massimi, è semplicemente un lavoro onesto che non fa un passo che
sia uno più lungo della gamba, nelle intenzioni della regista si
legge in modo chiaro la voglia di imbastire un piccolo dramma che
orbita intorno ad una stella fredda e oscura come un buco nero: la
morte della propria figlia. Omettendo le ragioni del decesso (ed è
già qualcosa) rimane lo struggimento genitoriale ampliato dallo
spaesamento a stelle strisce: soli, in un luogo sconosciuto,
bersagliati dai ricordi (la faccenda dell’anello sembra legata al
passato), devastati dal lutto ed emotivamente lontani (ma con
ricongiungimento conclusivo), in venti minuti scarsi il quadro che si
profila è questo, Wen poteva fare di più? Nel senso, poteva
spingere maggiormente il pedale della tragicità? Probabilmente sì
anche se non sono troppo sicuro che il film ne avrebbe giovato, così
impostato infatti mantiene un decoro che, pur non salvandolo da un
istantaneo oblio, permette di arrivare in fondo senza aver provato
particolari fastidi. Da capire il perché del titolo, che sia un
riferimento al famoso effetto ottico che sedusse anche il buon
vecchio Herzog (Fata Morgana,
1971)? Oppure si tratta di un’allusione al celebre personaggio
delle saghe arturiane? Se qualcuno nella remota ipotesi intoppasse in
Fata Morgana
e avesse delle illuminanti congetture a tal proposito si faccia
avanti, la porta è sempre aperta.
Ma se volessi vederlo, come me lo procuro?
RispondiEliminahttps://vimeo.com/228982151
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