martedì 18 settembre 2018

Letters to Angel

Il soldato Jeremia, dato per morto in Afghanistan, ritorna in Estonia per cercare i suoi cari.

Le premesse potevano portarci in una zona differente rispetto a quelle in cui Sulev Keedus aveva bazzicato nei film precedenti, magari, non era così sbagliato pensare, il documentario puro Jonathan Austraaliast (2007) una volta assorbiti gli slanci onirici aveva poi modificato le traiettorie del pressoché sconosciuto autore estone, d’altronde il ventaglio di tematiche affrontate da Kirjad Inglile (2011) pareva sconfinare in modo deciso nella concretezza: Medio Oriente, Islam, terrorismo e via dicendo, però è bastato davvero poco per constatare che non vi è alcuna virata realistica, anzi, forse se ripensiamo sia a Georgica (1998) che a Somnambulance (2003), Letters to Angel appare ancora più proiettato in un’altra disorientante dimensione, ciò si deve, probabilmente, allo scollamento netto tra il materiale in esame ed il modo in cui viene trattato, è proprio una voragine che, con alterna soddisfazione, inghiotte chi guarda. Dubito che qualcuno lo farà mai, ma la sensazione è che il cinema di Keedus andrebbe analizzato per bene, i suoi film sono costituiti da un sistema narrativo non così comune che sembra sempre sul punto di sfilacciarsi, in Kirjad Inglile, ad esempio, irrompono sulla scena parecchi personaggi senza che vi siano connessioni chiare nell’ordito tramico, ecco l’assenza di collegamenti, di cause ed effetti, è un ostacolo che lo spettatore medio non riuscirà a superare, ci sta, non è da tutti avere la voglia di seguire uno smarrito ex militare convertitosi all’Islam circondato da persone sull’orlo e anche oltre della follia che coinvolgono lo stesso in circostanze quantomeno enigmatiche.

Però, insomma, è decisamente stimolante vedere robe che svicolano dalle rette vie e quindi, almeno per il sottoscritto, ben venga questa atmosfera di alterità che trasuda dal film e ben vengano le bizzarrie disseminate lungo la proiezione. Che poi Keedus sotto sotto fornisce anche una bussola per raggiungere il minimo sindacale della comprensione, ed il procedimento che lo permette è ben congegnato, infatti è durante le confessioni epistolari di Jeremia alla figlia perduta che viene messo un po’ di ordine ai fatti che accadono sullo schermo, è solo durante la lettura off delle lettere che comprendiamo alcuni snodi principali della vicenda (il perché l’uomo è diventato musulmano e perché è rimasto così tanto tempo in Afghanistan) anticipati nella diegesi da eventi che, appunto, acquistano valore una volta esplicitato il contenuto del diario (l’attacco terroristico di Safia visto in tv e la conferma nelle parole successive del protagonista). Il profilarsi di una storia dalle tinte sì drammatiche ma che sfumano in altri colori meno grevi, vede un uomo nella gemella ricerca di due figlie, una naturale e una adottata, che risultano irraggiungibili, sia in Europa che in Oriente, il che, e ora arriviamo nel punto cruciale, suggerisce di come in realtà sia possibile che le due bambine non siano mai esistite e che tutto sia successo nella mente di Jeremia, Keedus gioca tutte le carte dell’antiletteralità che ha a disposizione, non spiega, non risolve, non imbecca, la lettura è talmente spalancata che non si fa un azzardo a pensare di quanto la parte ambientata in Estonia sia una proiezione celebrale di Jeremia che non se ne è mai andato dall’Afghanistan (perché nel Paese baltico ci sono tutte quelle operazioni militari? Perché le persone nella terra natia sono schizzate e incontrollabili mentre negli stralci afghani non succede granché di anomalo?).

E comunque, a prescindere dagli arrovellamenti interpretativi, abbiamo la fortuna di confrontarci con un regista piacevolmente irrequieto, va bene la solennità del cinema sovietico che sta alla base, ma Keedus è uno con delle visioni forti, che sa comporre il quadro e giocare sia con le cromature che con gli spazi, il cinema che dipinge, non troppo dissimile da quello di Lech Majewski per ciò che ricordo, è un precipitato di surrealtà che vive nelle eccentriche apparizioni inscenate, tra l’estasi e l’allucinazione. Se Keedus riuscisse a trovare un compromesso maggiormente impattante tra sceneggiatura ed estro estetico sarebbe davvero un autore da seguire attentamente, resta valido, ad ogni modo, il consiglio di approfondirlo.

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