domenica 3 giugno 2018

The First Rasta

Stimolato dalla visione di El somni (2008) il sottoscritto si è messo sulle tracce di Christophe Farnarier e iniziando come di consueto la ricerca filologica atta a stanare ogni manufatto possibile, il primo oggetto successivo al film del 2008 a manifestarsi è stato proprio Le premier rasta (2010), ma, sorpresa, Farnarier accreditato come co-regista c’entra pochino nella realizzazione del progetto perché lui in questo documentario si occupa essenzialmente delle riprese mentre la mente che sta dietro a tutto è Hélène Lee, una giornalista francese che Wikipedia inglese ci dice essere una specialista della cultura giamaicana e dell’african music (link). D’altronde era anche pronosticabile la non piena paternità di Farnarier nei confronti di The First Rasta visto il suo curriculum (ha collaborato con Albert Serra) e quella che si presume sia la sua idea di cinema, ad ogni modo poco male: il film sotto esame ha dei motivi di interesse che pur non facendolo assurgere a chissà quali vette mantiene costante una linea interna di divulgazione che con grande semplicità mette a conoscenza chi è all’oscuro di faccende come rastafarianesimo, la comune di Pinnacle o il predicatore Leonard Howell.

Muovendosi su un tracciato duplice Lee decide di affiancare alle riprese sul campo una corposa base esplicativa con filmati d’archivio + voce narrante che disegna il quadro socio-politico prima, durante e dopo l’avvento del movimento rasta. La didattica, in situazioni del genere, sgomita sull’afflato artistico ma nella fattispecie non pesa più di tanto, è difatti parecchio istruttivo assistere allo srotolamento di un gomitolo i cui fili intrecciati uniscono luoghi e tempi così distanti e così opposti (l’Etiopia e la Giamaica), e affondando nella terra scura e umida il filato diventa fibra e la fibra radice, quella di un unico grande popolo. Tali informazioni, annesse a molte altre (non dimentichiamo il dominio inglese e l’emarginazione dei rastaman), seppur collocate in una cornice “da depliant” non scadono in lezioncine scolastiche, quando la Storia parla avviciniamo i pugni chiusi e poggiamoci sopra il mento in religioso ascolto.

Per quanto mi riguarda un’accoglienza positiva verso degli inserti pressoché televisivi nasce con ogni probabilità dalla sua naturale controparte, il nucleo caldo dell’opera, che pur non impiegando mezzi stratosferici viene trasmesso con limpida efficacia. Farnarier e Lee, banalmente, immortalano le persone. Giustamente i primi piani sono quasi sempre molto stretti perché negli occhi obnubilati dal tempo e dalla ganja ci sono pozzi ricolmi di storie sulla via dell’oblio. Occhi acquosi, nivei, lucidi e bocche sdentate dalle quali viene fuori un inglese impastato che non ha mai smaltito il ceppo linguistico della terra natia. Dalle testimonianze, di cui addirittura si potrebbe prescindere poiché i silenziosi volti tricentenari annientano qualunque parola, si palesa la bontà di The First Rasta perché come sempre, quando l’Uomo è al centro, e quando se ne riesce, o almeno si prova, a coglierne il profondo dell’animo, è più facile aderire alla proposta, se poi quest’Uomo appartiene alla categoria degli ultimi allora sentire dell’altro al di qua dello schermo diviene automatico.

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