Cortometraggio di neanche
dodici minuti estrapolati da circa un’ora di materiale girato
nell’arco di due giorni (non consecutivi) presso un motel di Palm
Desert (California), un uomo e il suo cane, nient’altro. Questi
sono i dati di Roxy (2010) che inquadrano il lavoro svolto
dalla tuttofare Shirley Petchprapa (sceneggiatrice, regista, fonica,
montatrice), ed è palese di quanto e come una autoproduzione del
genere non possa tendere a nulla che non stia più in là del nostro
naso, a visione ultimata una sensazione di esilità è quella che si
propaga dal film stesso al quale
però, nonostante la gracile costituzione, si possono anche
riconoscere dei mirco-meriti, in particolare per la veste
digitale offerta dalla Petchprapa che dondola tra messe a fuoco e
annessi sfocamenti, che si incolla ai dettagli, che dà energia ad
una situazione di normale esistenza dove non ci sarebbe nulla di
interessante da vedere (… a parte il finale), e ciò che si crea,
che striscia nell’impercettibilità, è comunque un’attesa per lo
spettatore, la percezione di un’eventualità (negativa) che possa
prima o poi accadere.
E come da tradizione per
un corto narrativo (Roxy si può anche iscrivere alla
categoria, però l’assenza di dialoghi e il tentativo di deviazione
formale lo fanno parimenti allontanare da tale settore), al sopraggiungere
della conclusione qualcosa succede. La regista non smarrisce il
proprio tatto neanche di fronte al palesarsi del dramma poiché degli
stacchi in ripetizione recidono ogni esibizione del gesto, la scelta
però di piazzare un pezzo musicale proprio nel clou (si tratta di
Muted Thunderstorms di Edison Woods) suona come
un’intensificazione non proprio originale, e quindi si profila un
livellamento nel punto che doveva essere vetta. Vabbè non sarà una
canzone extra-diegetica a macchiare la prova della Petchprapa, in
fondo la chiusura potrebbe trovare consensi perché dotata di un
controfinale che stinge il nero e si riappropria dell’ossigeno
grazie ad un flash canino, forse troppo mellifluo, forse, ma a ‘sto
giro a Shirley gliela lasciamo passare.
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