Christophe Farnarier,
marsigliese classe ’63, è essenzialmente un direttore della
fotografia per film di nicchia. Il suo primo lavoro passato agli
archivi lo ha visto collaborare con Albert Serra in Honour of the Knights (2006), opera che, come saprete, è stata
interamente girata in Catalogna con attori (due) non professionisti.
È probabile che grazie a questa esperienza in terra spagnola
Farnarier sia venuto a conoscenza di Joan Pipa, pastore nomade dei
Pirenei catalani, e soggetto a dir poco perfetto per un documentario
come El somni (2008) che vuole congiungere più
strade: c’è la raffigurazione antropologica di un uomo che
fa un mestiere d’altri tempi, c’è lo spirito naturalistico
fondato sugli splendidi paesaggi agresti, c’è il
corrispettivo spirito artistico del regista che non si limita al
compitino televisivo e c’è verso la fine anche spazio per un
grido ecologico che si rivela il vero urgente nucleo del film.
La ciclicità delle
stagioni detta i tempi d’azione, si parte per la transumanza e
Farnarier è lì, fianco a fianco al pastore in mezzo al
fiume gibboso di lana, che ruba le impressioni, i pensieri e le
imprecazioni (ovviamente in catalano) di Pipa. Quest’ultimo se
inizialmente discetta di donne e denaro fantasticando di possedere
ingenti quantità di ambedue le categorie, successivamente dà
sorprendentemente sfoggio di essere a conoscenza dei fatti che
accadono non solo oltre le sue montagne (appena può non le
manda a dire al governo spagnolo e a film concluso capiremo il
perché) ma anche al di là dei confini nazionali con dei
commenti su Bush junior difficili da non condividere. Quello che per
buona parte della sua durata parrebbe un documentario dove viene
semplicemente posto lo sguardo su una realtà rurale e su chi
questa realtà la vive da un periodo di tempo che coincide col
primo fino a quello che sarà l’ultimo respiro, grazie ad
un’idea parecchio azzeccata, ovvero quella di presentare Joan ad
un’ora dall’inizio e affermare che quello a cui stiamo assistendo
è il suo viaggio finale nelle vesti di capraio, diventa un
j’accuse per nulla didascalico poiché visto con gli
occhi bucolici del protagonista, una denuncia verso l’amministrazione
politica che ha in quelle ruspe così antitetiche rispetto al
contesto paradisiaco la propria innaturale e burocratica essenza. Poi
lì, proprio dove un tempo, come diceva qualcuno, c’era
l’erba, passerà un treno, ma il progresso lascia sempre
delle vittime senza voce dietro di sé.
P.S.: El somni è
un documentario consigliato per ragioni che spero di aver reso
evidenti con la manciata di righe scritte qui sopra, c’è
però un’altra connotazione, più marginale ma non per
questo snobbabile, che accresce il grado di interesse di questo
piccolo film, mi riferisco alla comunicazione verbale che lo intesse,
al codice d’intesa tra Pipa e i suoi compaesani. Vi stupirete di
come la lingua catalana ha sfumature vicine all’italiano, tanto che
per alcune battute non c’è bisogno di leggere i sottotitoli.
Il titolo non suonava nuovo, e infatti scartabellando nel mio blog l'ho trovato, dopodiché, leggendo le tue righe, mi son ricordato del perché pur'o avevo apprezzato non poco questo film: è, come sottolinei, un j'accuse tutt'altro che didascalico, e anzi la forza stessa del film - credo - sta in questo porre il cinema, cioè la possibilità stessa del cinema in generale e di questo film in particolare, contro a quella politica, a quel progresso che distrugge l'ambiente rurale protagonista. Cinema sive natura... :p
RispondiEliminaQualche giorno fa ho visto un lavoro italiano che se non ricordo male hai visto anche tu (con questo smartphone vetusto con cui sto scrivendo ho difficoltà a cercare), e, sempre se non ricorda male, che tu non avevi apprezzato troppo. Si tratta di Materia oscura del duo D'Anolfi-Parenti, io posso dire che mi sia piaciuto, ma il punto in relazione a El somni è che: trovo interessante l'idea di apporre una lente diciamo artistica su un cinema diciamo di denuncia, in questo modo si riesce a coniugare una visione personale e ricercata a temi di carattere urgente e concreto come le sperimentazioni belliche o il disboscamento selvaggio. Senza un approccio del genere si scadrebbe nel mero reportage giornalistico o, peggio ancora, nel patetismo hollywoodiano. Quindi, per me, ben vengano.
RispondiEliminaIl discorso di D'Anolfi-Parenti, però, mi sembra molto più autoriale. "Il castello" non mi era affatto dispiaciuto, mentre "Materia oscura" m'è sembrato una reiterazione delle dinamiche già viste nel film precedente, colla conseguenza che tutto ciò che si palesa, infine, è un'autorialità accentuata, quasi che la denuncia non fosse che un filtro. Comunque, a essere onesti quello di D'Anolfi-Parenti è anche un discorso politico: in fondo, loro c'hanno i preti alle spalle...
EliminaIndubbiamente più autoriale. I preti chi sarebbero? La Rai? :D
EliminaCiao, dove posso trovarlo?
RispondiEliminaSu emule.
EliminaSegnato.
RispondiEliminai preti? Chi scrive una tale sciocchezza? D'Anolfi e Parenti con i preti non hanno nulla a che fare.
RispondiEliminaMa lasciate perdere Yorick, che ormai s'è rincoglionito del tutto e sguazza in una sua visione del cinema solpisistica e limitatissima. Tra un po' ci sarà da fidarsi più dei giudizi di siti di merda tipo coming soon che dei suoi...
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