venerdì 19 febbraio 2016

Karl and Marilyn

Non sono particolarmente ferrato sull’animazione estone per cui spero perdonerete la pochezza delle righe seguenti le quali hanno come principale obiettivo soltanto quello di pizzicare la vostra curiosità e in seconda battuta di ricercare della polpa all’interno del guscio, perché forse forse Karl ja Marilyn (2003) qualcosina da dirci ce l’ha e ci tiene ad esporla fin da subito con il detective che suggerisce una precisa chiave di lettura, quella di un mondo pronto ad idolatrare la stella di turno. Da questo principio Priit Pärn, animatore di lungo corso e a quanto pare piuttosto seguito e apprezzato, imbastisce una storia dal duplice volto che tramite l’antitesi dà sostegno alla propria tesi, o a ciò che vorrebbe essere tale. Il percorso del barbuto tuffatore (in alcune sinossi su Internet è definito come Karl Marx ma la mia ignoranza non mi ha permesso di cogliere eventuali riferimenti) è inverso a quello dell’aspirante Marilyn Monroe, da mito sportivo all’anonimato intenzionale con tanto di spersonalizzazione (il taglio della barba rossa che lo rende sul serio uno come tanti) e gesto violento (dovuto al fatto che adesso nessuno lo avrebbe più riconosciuto?), mentre per la donna dai seni prominenti il passaggio dalla casa di periferia alle strade urbane l’ha resa un effimero astro dalle pudenda sempre in bella mostra.

Non si capisce se Pärn volesse far spiccare la stupidità della folla che si accalca per personaggi di discutibile valore umano (d’altronde anche Marilyn… uccide) o se l’idea era quella di illustrare il percorso andata e ritorno della fama e di chi ne è il protagonista con relative problematiche barra turbe barra psicosi, non si capisce e l’assenza di un indirizzamento lascia il ventaglio delle possibilità così aperto da rendere difficile la ricerca di un punto di chiusura. Chiaramente potrebbe levarsi un coro di chissenefrega di fronte a codesti ragionamenti poiché si tratta pur sempre di un corto lungo neanche mezz’ora e che, è il caso di dirlo, per quanto riguarda la sua forma grida nevroticamente la propria cultura del brutto, quel tratto antiestetico che delinea figure bitorzolute, di un grottesco dai contorni tremolanti, praticamente un ritratto avariato di mostri e mostriciattoli che di sicuro non difetta di originalità estetica, la diretta conseguenza è che chi si accontenta esclusivamente di quanto carpiscono gli occhi allora il film sotto osservazione appagherà il loro weird-appetito, per tutti gli altri un tentativo è consigliabile, il consecutivo apprezzamento no.

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