venerdì 26 febbraio 2016

God of Love

Cupido è tra noi, ha i riccioli neri e guida una vespa.

Una certa levità di fondo permette a God of Love (2010) di non imbottigliarsi in un sentimentalismo da soap opera, quell’urticante rimasticazione romance di stampo televisivo che ammorba buona parte dei film per-la-massa dentro le sale; sull’argomento “adesso vi dico la mia in merito” Luke Matheny, attore e regista, si esprime con un metodo che, appunto, sa usare un’ironia non troppo invadente né troppo evasiva, è substrato che diventa anche autoreferenziale (“a prima vista sembro un’idiota”, dice il protagonista), che non conosce rigidità e tende a rafforzarsi con l’utilizzo di alcune finezze all’interno del testo filmico, virgole e accenti tra la carineria e la bonarietà (del tipo: il nome della ditta che spedisce i dardi a Ray, le parole della canzone suonata nel club), senza scordare la tendenza ad inscenare gag e siparietti vari che hanno trovato un riscontro accettabile in chi scrive (Ray che raccatta donne – e non solo – per strada è forse il momento più divertente).

Ovvio che quanto appena detto è il risultato di uno strizzamento esegetico volto allo sgocciolamento dei pregi (pensatelo scritto in piccolo) insiti nel film, perché andiamo, sì che a voler essere buoni la leggerezza è concretamente davanti ai nostri occhi, ma che cosa c’è di altro? Ad una risposta non si riesce a pervenire poiché, almeno per il sottoscritto, la morale vagamente parabolica di un Eros che rinuncia al proprio amore non è appagante, proprio no. Il punto è che God of Love pur essendo un’opera graziosa ma tremendamente gracile, ha vinto uno dei premi più prestigiosi al mondo (Oscar miglior corto live action) e ciò non può che dare da pensare in relazione alla mole di short-movie che foraggiano annualmente Festival e rassegne e che, non credo di dire una fesseria, non hanno niente di meno del lavoro di Matheny e al contempo è probabile che abbiano molto ma molto di più. Sparare a zero sulle decisioni dell'Academy è uno sport praticato ovunque per cui la pianto immediatamente, che lo si voglia o meno le cose girano così, sicché è doveroso concludere con una banalità bella, buona e purtroppo vera: il Cinema nella maggior parte dei casi sta lontano dai riflettori, e un God of Love qualunque ce lo dimostra, amaramente.

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