sabato 14 luglio 2018

The Sky Turns

Sette anni prima di Futures Market (2011) Mercedes Álvarez debutta nel lungometraggio con un lavoro sospinto da una fortissima carica personale, El cielo gira (2004) vive infatti nel piccolo paesino di Aldealseñor, provincia di Soria, non lontano da Saragozza, che diede proprio i natali all’autrice la quale se ne andò con la famiglia in cerca di fortuna quando era appena una bimba di tre anni. Questo potente ritorno (questa regresión, come viene definita dalla voce narrante) alle origini trova terreno fertile in un cinema adagiato sulla realtà che nel momento in cui elabora un ricordo si intreccia nella malia degli altri ricordi in un filato che ha cuore e voce, nostalgia e poesia: El cielo gira è un film che ti abbraccia. Nell’opera successiva la Álvarez riproporrà l’idea di un presente nel quale convivono i fantasmi del passato e quelli del futuro, ma lì il trend topic della Crisi Globale risucchierà un po’ tutto il resto, mentre qui no, il lucido discorso imbastito dalla regista spagnola è una riflessione non troppo dissimile a quella presente nel dittico di Patricio Guzmán distribuito in Italia di recente (Nostalgia della luce [2010] + La memoria dell’acqua [2015]), abbiamo la possibilità di penetrare all’interno di una specie di wormhole dove il tempo si piega su stesso come le magnifiche dissolvenze delle foto in bianco e nero sulle immagini video degli stessi luoghi immortalati, e allora questo piccolo paesino si fa centro di un qualcosa infinitamente più grande e incomprensibile da mente umana: nelle rocce le sagome dei dinosauri guardano dal basso le imponenti pale eoliche nuove di zecca, l’antico palazzo di cui nessuno rimembra più l’origine viene ammodernato per essere trasformato in un hotel, al cimitero si parla di anime trapassate e nei campi coltivati di lattughe mentre alla tv il telegiornale ragguaglia sull’attacco americano ai danni di Saddam Hussein.

Nell’ubriacante testacoda passato-presente-futuro costellato da continue rivoluzioni, tutto sembra mutare per poi non cambiare sostanzialmente niente. Come la ciclicità delle stagioni (non per niente la traccia seguita dal film stesso), il procedere in avanti è una reiterazione costante, un ripetersi che plana dall’alto e che diviene aria respirata quotidianamente dalle persone che fanno l’unica cosa che possono fare: tirare avanti. Sicché gli echi di una guerra in Iraq sono gli stessi dell’occupazione romana di mille anni prima, oppure l’incontro casuale di due uomini marocchini nelle campagne è la riproposizione di quanto probabilmente accaduto secoli fa (veniamo a sapere da loro che il palazzo è stato proprio costruito dagli arabi). La sostanza inalterabile che forgia il paese (e di sicuro non solo quello) trova esempio puntuale nel campo lungo iniziale, ovvero quel paesaggio-simbolo per la Álvarez che si è calcificato nella sua memoria e che a distanza di decenni si ripresenta uguale ad adesso. La bruma del Ricordo che nella sua essenza più pura non distingue tra singolarità e collettività, è un fumo che invade placidamente la visione, e al pari di It’s the Earth Not the Moon (2011) assistiamo ad un cinema che pur riprendendo il reale sa aprirne le maglie per accompagnarci in un percorso dove sebbene lo sguardo sia puntato sugli altri, chi abbiamo visto davvero è nient’altro che noi stessi.

Nessun commento:

Posta un commento