domenica 8 luglio 2018

Low(er)

In tutta la città iniziò a diffondersi il segnale acustico di quando per sbaglio si compone il numero di un fax invece che un numero telefonico. La frequenza, la rapida pulsazione di suoni tondi, l’ondulazione immaginaria e continua. Le mamme, lasciati i padri imbozzolati nelle crisalidi sulla parte destra del letto, si affacciarono alle finestre per salmodiare la loro resistenza pizzicando le corde da stendere, unite, insieme, da ogni palazzo, il canto saliva verso il cielo elettrificato. A migliaia di chilometri di distanza i figli incantenati nelle miniere avvertivano il vocio materno mentre enormi topi dagli occhi rubini li spiavano nell’ombra sgranocchiando succose melagrane. Piccone/pala/secchio/piccone/pala/secchio. Tutto il giorno, tutti i giorni. Le madri più anziane convocarono una riunione clandestina, l’eco del fax era il segnale che aspettavano da decenni, il gatto millenario si era risvegliato e tra poco avrebbero potuto riabbracciare quei figli divenuti uomini in un altro ventre, quello della montagna. Piano piano le dame intonarono l’ultimo canto e un’onda melodiosa iniziò ad espandersi oltre i confini urbani, i campi e le colline. Degli spaghi bianchi aravano il suolo, sottili ma incontenibili: erano le vibrisse del sommo felino dirette verso la cava. I baffi del gatto penetrano nella profondità oscura della terra e come un filo di Arianna guidarono i minatori alla luce lasciando i ratti tenebrosi in un’umida solitudine. Il contingente di figli, sporchi e quasi ciechi, fu accolto al rientro da una gigantesca corona di farfalle-uomo, finalmente i papà si erano liberati della fibrosa prigione e potevano volteggiare nell’aria azzurra.

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