mercoledì 21 dicembre 2016

Les lignes ennemies

Coetaneo di Curling (2010), Les lignes ennemies è il primo film di Denis Côté che si allontana dal focus sull’umanità periferica incastonata in una geografia precisa (succederà [forse] anche con Bestiaire, 2012), in favore di un lavoro meno votato al confronto diadico uomo-ambiente, e ancor meno contornato da tratti certi. Non che il cinema di Côté abbia mai abbondato di didascalie (per fortuna! Un motivo per apprezzarlo è proprio questo), ma qui siamo al cospetto di una vera e propria sospensione descrittiva: molto bene: la totale inconoscibilità della situazione solleva il film da qualsivoglia aderenza narrativa e allora eccoci introdotti in una guerra che non ha nemici, o forse, senza sfociare nella retorica spicciola, è proprio la guerra in sé a non avere nemici visto che chi sta nella trincea opposta “ha comunque lo stesso identico umore”. Non essendoci nessuno contro cui combattere, la linea di Côté non è materialmente calpestabile, è una sensazione, un’atmosfera buzzatiana di continua ed inutile attesa. Va quindi detto che Les lignes ennemies è marcato da episodi squisitamente estemporanei che divaricano le serrature del reale contribuendo a spingere il film in territori di un altrove dove finestre oniriche invadono la diegesi sottoforma di pulsione muliebre (le donne sono vietate dal capo, il nemico è una donna. Ma nuda) e dove gli uomini possono svanire nel niente infilandosi in una catapecchia.

Le ipotetiche letture montano a fine visione, e crescono: Côté metaforizza. Questa è la guerra, dice. Un’ossessione da omini come il capetto che non ammettono ironia o svago, una caccia al fantasma con le armi e le mimetiche, ma non ho mai capito (come credo non l’abbia mai capito neanche questo regista canadese) come può l’Uomo confondersi nella Natura mettendosi addosso degli stracci verdemarroni. È il fallimento il sentimento che prevale, l’impotenza che nasce dalla non avvenuta prevaricazione sull’altro. Ma Côté, soprattutto, parodizza rendendoci consapevoli di un’altra sfumatura del suo tragitto autoriale, e la parodia si fa allora motivo portante: oltre l’inattendibile commando che compie sommosse da principianti, e oltre l’inaspettata parentesi comica col gruppo di podisti, è nel lungo finale che Côté si adopera in una sorta di smilitarizzazione dei soldati in scena, al posto di esibire platealmente uno scontro a fuoco che avrebbe vanificato tutto l’impianto teorico, continuiamo a brancolare in una stasi dove i combattenti smettono idealmente la divisa per ricongiungersi alla forma originaria di se stessi, che non è sicuramente quella bellicosa: un bruco viene delicatamente posato sul terreno, un commilitone fa uno scherzetto al compagno addormentato, il capo cede e chiede un massaggio alla dolente schiena.

Ciò che si profila al termine del film (e una ragnatela che copre un fucile lo fortifica) è un refolo pacifista che passa lieve, senza le ampollosità del caso, senza voler impartire lezioncine para-edificanti, restando, al massimo, un’eventualità perché Les lignes ennemies non è il cinema moraleggiante che ti hanno obbligato a subire, ma esemplare accogliente capace di alimentare con discrezione urgenti dibattiti esteriori (la guerra dell’uomo) e interiori (la guerra nell’uomo).

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