Coetaneo di Curling
(2010), Les lignes ennemies è il primo film di Denis
Côté che si allontana dal focus sull’umanità
periferica incastonata in una geografia precisa (succederà [forse]
anche con Bestiaire, 2012), in favore di un lavoro meno votato
al confronto diadico uomo-ambiente, e ancor meno contornato da tratti
certi. Non che il cinema di Côté abbia mai abbondato di
didascalie (per fortuna! Un motivo per apprezzarlo è proprio
questo), ma qui siamo al cospetto di una vera e propria sospensione
descrittiva: molto bene: la totale inconoscibilità della
situazione solleva il film da qualsivoglia aderenza narrativa e
allora eccoci introdotti in una guerra che non ha nemici, o forse,
senza sfociare nella retorica spicciola, è proprio la guerra
in sé a non avere nemici visto che chi sta nella
trincea opposta “ha comunque lo stesso identico umore”. Non
essendoci nessuno contro cui combattere, la linea di Côté
non è materialmente calpestabile, è una sensazione,
un’atmosfera buzzatiana di continua ed inutile attesa. Va quindi
detto che Les lignes ennemies è marcato da episodi
squisitamente estemporanei che divaricano le serrature del reale contribuendo a spingere il film in territori di un altrove dove
finestre oniriche invadono la diegesi sottoforma di pulsione muliebre
(le donne sono vietate dal capo, il nemico è una donna. Ma
nuda) e dove gli uomini possono svanire nel niente infilandosi in una
catapecchia.
Le ipotetiche letture
montano a fine visione, e crescono: Côté metaforizza.
Questa è la guerra, dice. Un’ossessione da omini come il
capetto che non ammettono ironia o svago, una caccia al fantasma con
le armi e le mimetiche, ma non ho mai capito (come credo non l’abbia
mai capito neanche questo regista canadese) come può l’Uomo
confondersi nella Natura mettendosi addosso degli stracci
verdemarroni. È il fallimento il sentimento che prevale,
l’impotenza che nasce dalla non avvenuta prevaricazione sull’altro.
Ma Côté, soprattutto, parodizza rendendoci consapevoli
di un’altra sfumatura del suo tragitto autoriale, e la parodia si
fa allora motivo portante: oltre l’inattendibile commando che compie
sommosse da principianti, e oltre l’inaspettata parentesi comica
col gruppo di podisti, è nel lungo finale che Côté
si adopera in una sorta di smilitarizzazione dei soldati in scena, al
posto di esibire platealmente uno scontro a fuoco che avrebbe
vanificato tutto l’impianto teorico, continuiamo a brancolare in
una stasi dove i combattenti smettono idealmente la divisa per
ricongiungersi alla forma originaria di se stessi, che non è
sicuramente quella bellicosa: un bruco viene delicatamente posato sul
terreno, un commilitone fa uno scherzetto al compagno addormentato,
il capo cede e chiede un massaggio alla dolente schiena.
Ciò che si profila
al termine del film (e una ragnatela che copre un fucile lo
fortifica) è un refolo pacifista che passa lieve, senza le
ampollosità del caso, senza voler impartire lezioncine
para-edificanti, restando, al massimo, un’eventualità perché
Les lignes ennemies non è il cinema moraleggiante che
ti hanno obbligato a subire, ma esemplare accogliente capace di
alimentare con discrezione urgenti dibattiti esteriori (la guerra dell’uomo) e
interiori (la guerra nell’uomo).
https://vimeo.com/83883847
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