lunedì 5 dicembre 2016

Noche

Chi ha visto Noche (2013) di Leonardo Brzezicki sa che si tratta di un Signor Film, un film che esorbita nel suo riuscire a dare forma ad uno spazio che non ha dimensione, che è quello del lutto, e quindi di un sentimento profondamente personale, unico, sito dentro il cuore di chi è ancora vivo. Girato pressoché esclusivamente in ambienti esterni (tranne l’apice del suicidio riascoltato che agghiaccia e immobilizza) senza l’ausilio di luci artificiali, l’opera prima di Brzezicki è un oggetto ferino che si inserisce con grandiosa personalità in quel clan naturalistico dove il cinema è un portale verso mondi squisitamente sensoriali, gli unici che possano far sussultare realmente la nostra percezione. Non vorrei apparire pedante avendo già ripetuto tali concetti parlando di altre due eccellenti visioni sudamericane (Leones [2012] e Las letras [2015]), ma è proprio con i metodi utilizzati da Brzezicki che si compie nella sua pienezza l’atto di Vedere e questo traspare non tanto dalla necessità di ricostruire il puzzle della storia, quanto dai presupposti, dalle possibilità, dagli abbrivi che il film fornisce e che non hanno alcun manuale di istruzioni con sé, e allora, a prescindere dall’alone di enigmaticità (comunque bellissimo e magnetico), si profila quella libertà ossigenante che dovrebbe essere propria di ogni pellicola, è un prodigio dell’arte poter lasciarsi andare in un flusso espositivo come quello di Noche dove niente è certo, fisso, nemmeno i campi di ripresa che si dissolvono a vicenda generando nuove sovrapposizioni e prospettive.

I complimenti a Brzezicki vanno fatti oltre che per la gestione tecnica della sua creatura anche per l’idea che la costituisce poiché in un cinema autoriale che sembra costantemente rapportarsi col concetto di Fantasma (Alonso, Weerasethakul, qualcosa di Tsai), la proposta dell’argentino è un refolo d’aria stordente che mescola, come raramente è stato mai fatto, le coordinate spazio-temporali attraverso un impianto che fa principalmente leva sulla componente sonora. È una buia meraviglia. La ragnatela di registrazioni che punteggia il soggiorno evocativo del gruppo di ragazzi è un’enorme seduta spiritica che ha come medium l’energia elettrica o, in surrogato, le pile alcaline dei piccoli registratori. Da suddetta carica si genera la forza azzurra e scintillante delle parole, dei ricordi di un suicida che felpatamente si introducono nella staticità umida del bosco e che porta con sé un carico terremotante, e quindi ancora energia, accumulo, onde come cerchi nell’acqua che si espandono e richiamano a loro echi di un dolore che si materializza nel boato di uno sparo (“la caccia è iniziata”).

In generale, penso che grazie al suono viviamo emozioni impossibili da articolare altrimenti in modo razionale, e alla base del film c’è proprio la voglia di fare qualche esperimento con un elemento che funziona soprattutto a livello emotivo. Spezzare con il suono la linearità del tempo e dello spazio, lavorare con uno spazio trasformato dal suono stesso in una dimensione indipendente rispetto all’immagine, ritrarre sensazioni e stati mentali in modo sottile: ecco dove nasce Noche.

(Leonardo Brzezicki da qui)

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