Questo non ha niente a
che fare con il consumismo né fa parte del mondo
pubblicitario. Tutta questa campagna ha come obiettivo quello di
dissuadere da un uso smodato di un prodotto. È una campagna.
Non stiamo provando a vendere niente. Cerchiamo solo di
sensibilizzare l’opinione pubblica.
(Herzog
ipse dixit qui)
Werner Herzog per il
sociale: From One Second to the Next (2013) è un breve
documentario commissionato al regista tedesco dalla compagnia
telefonica texana AT&T che rientra nel progetto It Can Wait,
piano di coscientizzazione sul cosiddetto “texting while driving”.
L’uso del pronome “it” sottende una sottigliezza sfuggevole ai
più, con il soggetto così impersonale chi può
aspettare non è tanto la persona che sta attendendo il
messaggio dall’altra parte del filo invisibile, bensì Colei
che porta con sé Il Messaggio definitivo ed incontrovertibile.
Ok. Senza inutili voli pindarici: il lavoro in questione ha, come
nella migliore tradizione del genere, uno spirito didattico e
d’ammonimento che si esplicita attraverso le testimonianze dirette,
lo stampo è televisivo ed in linea con le Pubblicità
Progresso di tutto il pianeta Terra: mentre si guida non devi
messaggiare! Rischi di uccidere la gente innocente! Proiezioni nelle
scuole e visualizzazioni a milioni su Youtube.
Ovviamente qui non vi è
traccia di Cinema, come d’altronde non ve ne è più da
molti anni nell’usus scribendi del regista teutonico
trapiantatosi stabilmente in America, e c’era da aspettarselo
poiché From One Second to the Next contiene in sequenza
tutto uno stuolo di attendibili sentimenti: rabbia dei parenti che
hanno perso per sempre, sensi di colpa laceranti per gli ex-accaniti
messaggiatori, lo strazio di chi è sopravvissuto e ora
sottovive, la redenzione con l’abbraccio conclusivo. Non sminuisco
niente, né addito Herzog per aver partecipato a tal proposito,
sfido, però, a trovare un vero appassionato di Visioni
soddisfatto… a fine visione. Disancorandoci dall’innegabile
tragicità e dal suo condivisibile messaggio, non rimane
granché di toccante del corto, ma forse non è colpa di
Herzog, e forse non c’è nemmeno una “colpa”, è
semplicemente il mondo di oggi che ruota ad una velocità
inumana e che in questa stordente giravolta sputa dolore e dramma
attraverso le sue fetide bocche, che sono Twitter, Facebook, i Tg e
gli approfondimenti in seconda serata, e che hanno rivoltato la
nostra sensibilità, ad oggi riusciamo ancora a rabbrividire
per il cadavere di un bambino su una spiaggia turca o per un’assurda
mattanza dentro ad un teatro parigino, ma per le vittime degli
incidenti stradali? Troppo banali. Ecco: i media sono riusciti a
banalizzare la morte e quando un medium utilizza i loro appiattenti
codici non può che subire “la legge della pialla”. Ciò che spiace di
più è che Herzog non lo abbia compreso, o che pur
sapendolo non abbia fatto niente per smarcarsi dalle costrizioni
metodologiche che imperano nella comunicazione moderna. Eppure, da
qualche parte, ci sarà ancora la sapidità di Segni di vita (1968)…
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