Reduce da una trilogia
che aveva nell’ultimo capitolo Paradise: Hope (2013) il
punto più infelice di tutta la filmografia seidliana a causa
di un incanalamento narrativo troppo convenzionale dotato di
occhiolini gratuitamente provocatori, Ulrich Seidl ritorna ad una dimensione a
lui più consona, quella che va a costituirsi nella sua tipica
visione frontale: guardare dritto per dritto, come pergamene
ammuffite srotolate sullo schermo, per guardare dietro la patina
imbiancata della borghesia austriaca. È un atto che il regista
viennese compie da tempo immemore e che negli anni ha ricalibrato
verso tematiche riconducibili all’esistenza del quotidiano, come se
l’ectoplasma di Josef Fritzl sempre aleggiasse tra un fotogramma e
l’altro. Presa coscienza di un tale tragitto autoriale, continuo ad
avere dubbi di non poco conto sul cinema di Seidl al giorno d’oggi.
Prendiamo Im Keller (2014), certo la provocatorietà,
l’oscenità, lo “stile”, eppure a chi scrive non è
bastato. In fondo In the Basement non è altro che il
seguito ideale di Animal Love (1996) in cui Seidl compiva un
simile blitz domestico svelatore dei lati nascosti di persone
cosiddette normali. Quindi assistere ad una sorta di rimasticatura di
un film girato quasi vent’anni prima non può che spegnere
qualunque fiamma euforica, non solo, a mano a mano che lo sviluppo di
Im Keller si fa evidente, emerge un problema nodale che val la
pena enucleare.
A priori c’è una
contrapposizione troppo lapalissiana tra quello che l’umanità
di Seidl è nella vita normale e quello che diventa
(probabilmente è il contrario: diventare prima, essere dopo)
nella cantina di casa. Ovvero: così strutturata l’opera non
ha un’organicità degna, si trasforma pian piano in un
giochetto dove si spinge il pedale della morbosità in modo
sconsiderato tanto che non si è più di fronte ad una
possibile esplorazione del dietro le quinte di talune esistenze, ma,
agli antipodi, si è vittime anche un po’ tediate
dell’aberrante panoramica proposta. L’assenza di un senso
unificante, o della sua innegabile debolezza per chi riesce comunque
a ravvisarlo, non fa che sminuire il realizzabile del film castrato
da una politica fallace: mostrare il lato oscuro dell’uomo
attraverso una catena sconnessa di depravazioni fa precipitare il
tutto nelle mortali sabbie mobili della prevedibilità. Non è
tanto che si può prevedere quale sarà la perversione di
turno, quanto sapere con esattezza che ci verrà illustrata una
perversione tout court. La regolarità del flusso
para-narrativo uccide l’interesse di quanto raccontato che, per
dirla tutta, vista l’epoca internettiana non è nemmeno così
sconvolgente, rimane al massimo l’autoapprovazione di un regista
che per il mio vedere e sentire è solo preoccupato a piazzare
davanti alla mdp un po’ di scandalo che possa incrementare la sua
fama ed il suo conto corrente.
Parole sante come sempre.
RispondiEliminaPiù fastidioso del cinema di Seidl ci sono solo i suoi fanboy.
ps- visto noche, sonoro pazzesco e dialoghi raggelanti ! Ma alcune cose (molte a dire il vero) non mi sono chiare, devo rivederlo almeno una seconda volta per darti un parere più approfondito, comunque la prima impressione è positiva :D
A me Seidl fino a Import/Export piaceva anche, poi come ho scritto in Hope sono troppo cambiato io e al contempo è troppo poco cambiato lui, vabbè amen.
RispondiEliminaSu Noche pucciato come è nel buio del bosco è normale che non ci sia niente di chiaro, e nemmeno una seconda visione penso che potrà illuminarti più di tanto, cosa che, per me, va benissimo così :)