Qualcuno potrebbe obiettare sull’assenza di una congiuntura delle due storie raccontate, l’indipendenza della sezione di lui e di quella di lei è un dato di fatto, sono parallele che in un’ottica razionale non si incontreranno mai. Però se Fund ha un merito, e a mio avviso ce l’ha abbastanza, sta nell’aver saputo trovare una coesione, una fluidità avvicinando due segmenti che, seppur non conciliabili, alla fine sembra che si sfumino a vicenda, l’uno nell’altro. Una piccola connessione la si può rintracciare nella lingua francese che riduce la distanza atlantica, ma è poco se si ha la sensazione che ci sia di più, che si tocchi una sfera non tangibile, non scritta, Toublanc fa sì che in uno spazio filmico si possa verificare una coesistenza che vive di epifanie, di velato onirismo, di specchi. Il procedimento ludico di duplicazione che Fund usa è un collante che amalgama, alcune scene sono gemelle: Toublanc e Clara sull’autobus, talune rovesciate: Toublanc interroga, Clara è interrogata dalla polizia, in generale il legame che si profila tra l’uomo e la donna, tra i loro due mondi, diventa un credibile tutt’uno, e il sentimento che svetta in assoluto, che li rende le celeberrime facce di una stessa medaglia coniata con un materiale fosco, è la solitudine. Ecco, il tratto realmente unificante, il punto di convergenza della pellicola e dei suoi protagonisti è la solitudine che essuda da una quotidianità casalinga, da un amore senza direzione (l’ultimo primo piano di Clara: piange), da una vacua investigazione malinconica. Caro Fund, dopo Toublanc, se ce ne sarà occasione, ascolterò ancora ciò che hai da dire.
Christian - Roberto Saku Cinardi
3 ore fa
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RispondiEliminaDove recuperarlo? *__*
RispondiEliminaSul mulo mi sembra ci sia
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