A livello tramico le cose subiscono una semplificazione, il che parrebbe un dato migliorativo ma... non è così. Almeno in The Burning Buddha Man nel delirio che mescolava sacro e profano ci si “divertiva” a vedere quali fossero le fantasiose soluzioni adottate dal regista nel modellare il design degli innumerevoli protagonisti, qui, con una partenza dagli echi kinghiani (dei ragazzini all’avventura che finiscono in un misterioso parco giochi), si finisce a ricalcare una robetta di serie z con il mad doctor di turno e le sue mire pazzoidi. Sorvolo sul fatto che le strutture delle due pellicole sono identiche, ambedue si concludono con un blitz del buono trasformato nell’antro del cattivo, e, anche se non lo vorrei, mi concentro su Violence Voyager: spiacente, non riesco a salvare nulla, il film non funziona né se lo si legge nel suo dispiegarsi narrativo perché è una roba, senza offesa, da fumetto un tanto al chilo, né se lo si interpreta da una prospettiva parodistica e/o citazionistica perché si prende troppo sul serio, magari con qualche innervatura d’ironia la nave non sarebbe andata a picco. Che l’atmosfera para-violenta, sordida (ci sono dei bambini uccisi di mezzo), infarcita di parentesi splatter e schifezze assortite (ancora una particolare cura verso vomito et similia) possa venire erta dagli ammiratori di Ujicha a sua difesa, è un atto che ha il sapore del mezzuccio, d’altronde la vecchia regola aurea è: più si esibisce e più si scade nella gratuità, se qualcuno ha apprezzato io alzo le mani, per me è solo un brutto pasticcio.
martedì 4 aprile 2023
Violence Voyager
Allora, io
ci ho messo la buona volontà che possiedo, ma l’auspicio con il
quale chiudevo il commento di The Burning Buddha Man
(2013) non ha trovato riscontro in Baiorensu boijâ
(2018), una mia conversione alla gekianimation è totalmente
impossibile, non ce la faccio proprio a sintonizzarmi su queste
frequenze, il recente lavoro di Ujicha, nonostante i cinque anni di
differenza dal titolo precedente, non annovera nessuna innovazione di
rilievo, di nuovo è tutto inequivocabilmente, indubitabilmente
fermo, statico, macchinoso fino alla morte, dello spettatore
costretto a confrontarsi con una forma d’arte che proprio non va.
Potrei fare un copia e incolla dei difetti già riscontati, e lo farò
perché non trovo granché da dire: le sequenze che richiedono
maggiore dinamicità, come le colluttazioni, sono al di sotto della
soglia di guardabilità, dài, con il rispetto che si può avere per
qualunque proposta artistica, quella del regista giapponese, quando
deve spingere sull’acceleratore (e per sua sfortuna lo fa spesso
essendoci nel film svariate zuffe) diventa impresentabile, al pari
dei disegni che sottolineano le espressioni facciali dei personaggi,
santo cielo no, non va bene. Capisco l’artigianalità che sottende
il progetto e che è esplicitamente riportata nel film, del resto
mostrare i meccanismi produttivi non è certo una rarità nel mondo
dell’animazione, però in termini di resa globale tra le opere di
Ujicha e un corrispettivo oggetto girato in stop motion, di qualunque
tipo o nazionalità, c’è un divario abissale.
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