Quindi, non proverò a dare un senso (alzo il dito solo per il ragazzo con il libro, ciò che sta leggendo è il film stesso?), preferisco mettermi buono buono nella scia di immagini che Jahn & Dullius costruiscono intorno alla donna, un mosaico che sa di sogno (un passante a caso urla “sveglia!” come il cowboy di Mulholland Drive, 2001) perché un’impostazione del genere, così stralunata, così incorporea, pare provenire, e/o dirigersi, in una dimensione onirica, e l’impressione si accentua per una serie di reiterazioni, di scene gemelle che si ripetono in un loop lisergico. La disintegrazione di una narrazione canonica è assolutamente ben accetta, il non voler raccontare nulla pur arrivando, inevitabilmente, a raccontare lo è ancora di più, perché si manifesta un’efficacia che rovescia i parametri del comune fruire, i registi potevano fare un film con una protagonista in cerca di se stessa nella grande metropoli moscovita, circondata da personaggi un filo inquietanti, impelagata in una vuota quotidianità, e in effetti hanno fatto proprio questo, solo che non si sono serviti di una banale addizione algebrica ma hanno sconquassato l’etichetta giungendo comunque ad un risultato che, se trova terreno fertile in chi guarda, apertura, voglia di misurarsi con l’alterità, lascia dei residui su cui riflettere, non tanto sull’opera in sé quanto sul metodo che la forgia.
Glory - Uomini di Gloria
5 ore fa
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