E comunque
Zafir un minuscolo pregio ce
l’ha, ed è ubicato nella sceneggiatura. Vedendo le amorevoli cure
dell’anziano marito nei riguardi della moglie disabile, mi sono
venuti in mente altri film che proponevano la storia problematica di
un rapporto coniugale in età avanzata, non molti a dir la verità,
ma sicuramente almeno tre: un corticino cipriota dal titolo Dead End (2013), un lungometraggio
islandese (Volcano,
2011) e un’opera asciutta e rigorosa come Amour
(2012), ebbene, tale triade ha in comune la scelta di concludersi con
un atto funereo (ed è di dominio pubblico il fatto che Rúnarsson e
Haneke abbiano usato il medesimo escamotage per la catarsi luttuosa),
una tendenza che vuole creare shock nello spettatore e che il
sottoscritto, soprattutto crescendo
invecchiando, non
riesce a digerire. Per cui temevo che anche El Zohairy si accodasse
al trend, c’erano i presupposti per dare al preambolo un gratuito
scioglimento mortuario, giuro, me lo sono aspettato fino all’ultima
ripresa di spalle dell’uomo, invece mi sbagliavo, per fortuna
quella che potrebbe essere definita una tensione non ha sfogo, o
perlomeno non ce l’ha sullo schermo, il che vale al regista nato al
Cairo una mini medaglia che gli appunto al petto, da lui, ora,
attendo qualcosa di più sostanzioso.
giovedì 13 aprile 2023
Zafir
Il primo
cortometraggio di Omar El Zohairy non annovera quell’atmosfera
grottesca che invece caratterizzerà il successivo The Aftermath of the Inauguration of the Public Toilet at Kilometer 375
(2014), peccato, un po’ ci speravo che Zafir (2011)
avesse non dico un’identica tessitura globale ma almeno che
presentasse dei semi pronti – in teoria – a germogliare, invece
dobbiamo raffrontarci con un lavoro che vive nella consuetudine di
giovani registi con mire autoriali. Non vorrei apparire un
appassionato col nasino all’insù, e infatti non mi permetto di
mettere in discussione la professionalità dell’egiziano che,
sempre entro i confini della situazione, è assolutamente
accettabile, sottolineo, “soltanto”, la scelta di rimanere in un
recinto dalla base e (per buona parte) dallo sviluppo, piuttosto
derivativi. Questo bozzetto di umana e senile solitudine funziona al
massimo se lo si guarda con occhi che non chiedono troppo a
papà-cinema, altrimenti è proprio arduo abbassare il freno per
lasciarsi andare all’entusiasmo. L’ho ripetuto miliardi di volte,
non è mai, in un oggetto narrativo, cosa viene raccontato (ché un
catetere staccato è un’immagine che implica tutta una mestizia e
una rassegnazione dietro mica da ridere), bensì il come, lo sanno
anche i muri però non mi dispiace ribadire un concetto a dir poco
fondamentale.
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Il suo ultimo lavoro “Feathers” è clamoroso!
RispondiEliminaAh sì? Si vedeva che c'era del buono in lui...
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