A fronte degli aspetti sopra elencati che è difficile non considerare come positivi, il lavoro della Andini non mi ha persuaso in toto. Di opere indonesiane, se non erro, ne ho viste solo due, questa e Another Trip to the Moon (2015), casualmente, sebbene stiamo parlando di oggetti abbastanza diversi, per entrambi vale un po’ il discorso che tocca il passato cinefilo di noi spettatori. Se si è a digiuno di proiezioni dall’impostazione assimilabile a Sekala Niskala allora è probabile che la mia riflessione non abbia senso di esistere, se invece è già maturata una certa esperienza nell’ambito di riferimento è complicato lasciarsi andare ad elogi sperticati. Vorrei entrare nella questione per me fondamentale: l’alterità citata all’inizio. È incontrovertibile che essa ci sia e che funzioni da cuore palpitante della storia, mi chiedo però se la cornice esotica, ritualista, incorporea, in una parola banalizzante: diversa, a furia di ripresentarsi nel cinema contemporaneo non stia perdendo la posizione antitetica alla nostra, cioè è ancora un momento altro-da-noi l’assistere a pellicole del genere? Non discuto la fattualità del concreto, camminare in un tempio pullulante di scimmiette non sarà mai uguale al passeggiare nel silenzio di una chiesa rinascimentale, parlo di settima arte, delle modalità con cui la si vive e dei sentimenti che ne scaturiscono, e seguendo tale ragionamento in The Seen and Unseen mi è sembrato che un pilota automatico ne guidasse l’incedere verso un intero confezionato ad hoc per l’Occidente, sotto la fantasia e l’originalità mi si è profilato uno schema, un adagiarsi su elementi già esplorati nel passato recente. Non so, sarebbe arricchente se da qui ne nascesse un contraddittorio, dieci anni fa sarebbe successo. Che nostalgia.
sabato 8 aprile 2023
The Seen and Unseen
C’è tutta
l’alterità di cui avrete bisogno in Sekala Niskala (2017),
nello specifico un’alterità orientale che, scendendo ulteriormente
nel dettaglio, si circoscrive nell’area sud-est asiatica.
L’Indonesia del film, che potrebbe essere tranquillamente la
Thailandia, la Cambogia o il Vietnam, corrisponde all’idea che noi
occidentali ci siamo fatti di questi paesi attraverso il cinema,
quindi anche per la regista Kamila Andini lo scenario bucolico è
importante, non Giacarta ma un villaggio dell’entroterra dove poter
fornire, tra le altre cose, anche un ritratto di indigenza, poi,
inevitabile, la proposta folkloristica con riti e credenze locali
volta a suggerirci l’importanza della dimensione spirituale per la
popolazione sotto esame, altrettanto inevitabile è inoltre
l’apertura di brecce esplicitamente surreali e/o oniriche a cui si
coniuga l’utilizzo di simboli (le uova) e metafore (già il titolo
lo è: il visto e il non visto come i due gemellini). La Andini deve
aver studiato a fondo il cinema dei suoi colleghi maggiormente
rinomati perché The Seen and Unseen ha la richiesta
autorialità per far colpo sulle giurie festivaliere in giro per il
mondo (e in effetti si è messa in saccoccia un paio di premi, uno
anche a Berlino), esteticamente si fregia di parentesi notturne dove
prendono corpo le faglie visionarie, buie, al limite del
perscrutabile (… e con un nome così ci sta anche), ma d’atmosfera,
con perfino delle punte di brivido (le apparizioni coreografiche dei
bambini), in più la decisione di scomporre l’ordine cronologico
degli eventi unita al dilemma su ciò che è sogno e ciò che non lo
è amplifica la sensazione di seducente stordimento.
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