domenica 26 febbraio 2023

The Aftermath of the Inauguration of the Public Toilet at Kilometer 375

Tratto dal racconto breve La morte dell’impiegato di Anton Čechov e girato in una dismessa area industriale di Helwan, Ma baad wadea hagar el asas l mashrou el hammam bel kilo 375 (2014), secondo cortometraggio del giovane regista egiziano classe ’88 Omar El Zohairy, sembra trarre ispirazione da quel cinema d’autore europeo che fa capo a stoccatori professionisti come Ulrich Seidl e Roy Andersson, l’impostazione scenica è davvero simile: campi totali (in questo caso il deserto) dove gli esseri umani sono ridotti a misere formichine, camera fissa, dialoghi risicati e bislacchi, utilizzando tali misure El Zohairy compone un quadro che spicca per la sua cifra grottesca, del resto che l’umorismo avesse un ruolo di primo piano lo si intendeva già dal titolo, a che pro costruire una bagno pubblico nel bel mezzo del nulla? Alla suddetta miccia narrativa si collega poi la traccia portante che supera la chiave comica per sfociare nell’assurdo. Non saprei dire se ci sia da effettuare una lettura dietro al piccolo impiegato kafkiano che fa di tutto per scusarsi del suo starnuto di fronte al boss (del tipo: la situazione in Egitto è la seguente, e quindi chi “sta sotto” ha talmente paura di), plausibilmente sarebbe un’azione doverosa da parte nostra, tuttavia il corto funziona abbastanza bene anche così, senza avvertire l’obbligo di scendere in profondità, le bizzarre azioni del protagonista calate in un mondo altrettanto bizzarro si vivono con piacevole disimpegno.

Che poi non è così bizzarro l’allestimento di El Zohairy, una più giusta aggettivazione sarebbe desolato, sì è una realtà desolata quella che vediamo sullo schermo, e perciò va premiata la scelta della location, sia nelle ambientazioni esterne che interne, ambedue al di là del minimale, spoglie, polverose, quasi post-apocalittiche, e uno scenario del genere si riflette nell’umanità, ugualmente grigia e anonima (gli abiti degli omini sono molto simili). In generale mi sento di affermare che sarei ben disposto a vedere del cinema proposto in una cornice dalle suddette caratteristiche, anche se portata avanti da grammatiche conosciute, perché non sono mai entrato in contatto con traiettorie autoriali provenienti dall’area araba e quindi un minimo di attrazione ci sarebbe, se poi fosse proprio El Zohairy a fare il primo passo ne sarei lieto (al tempo della presentazione a Cannes di The Aftermath... diceva di essere al lavoro sul lungometraggio di debutto che poi è arrivato: Il capofamiglia, 2021), se ci si focalizza sui dettagli ce ne sono almeno due che ne certificano la voglia di suggerirci qualcosa oltre l’immagine, si noti il mare in tv visto dalla coppia (trasposizione della loro vita monotona o miraggio/sogno per un’evasione?) e il pesce troppo grande per una boccia così piccola (parallelo di quanto accade lì intorno?).

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