giovedì 11 marzo 2021

Violencia

Leggendo solo che la sinossi del precedente En el fondo del pozo (2004), cortometraggio incentrato su Campo Elías Delgado, un serial killer colombiano che il 4 dicembre 1986 uccise ventinove persone a Bogotá, si capisce che al regista Jorge Forero interessa approfondire i risvolti “neri” della sua Colombia, cosa che continuerà a perseguire anche un decennio dopo. Violencia (2015), passato da Berlino ’15, non si abbandona a chiacchiere inutili (e non è un modo di dire, i dialoghi sono parecchio risicati), la frontalità e la concisione del titolo dicono già tutto, però, a dispetto di un nome così diretto, il relativo contenuto di cui diventiamo spettatori è appositamente lasciato in uno stato non didascalico. Beninteso, l’accesso alla narrazione è immediato e comprensibile fin dalle prime battute, quello che viene eliminato da Forero è il contorno di cause ed effetti, di psicologie e meccanismi sceneggiaturiali vari, forse tale riflessione è maggiormente applicabile al primo episodio del prigioniero, un segmento teso e asciutto che non dà spiegazioni, negli altri due affiora qua e là il segno di una scrittura (soprattutto la seconda porzione), ma nell’insieme non si può considerare l’opera come esageratamente illustrativa né marcatamente artificiosa. Ho fatto riferimento ad una suddivisione del corpo filmico perché la peculiarità di Violencia è proprio quella di essere tripartito, e non solo: ognuno dei tre pezzi non dipende in maniera esplicita dall’altro, nel senso: non vi è un rapporto di esposta connessione tra loro, c’è, di contro, un’unione sotterranea che rafforza il concetto di una produzione non leggibile “alla lettera” e che rientra nell’obiettivo di inquadrare la drammatica realtà di un Paese attraverso una triade che converge in un unico buco nero: quello della violenza, appunto.

Cose a mio avviso da ritenere apprezzabili: vero che non ci sono collegamenti manifesti, altrettanto vero che la terna di storie ha una struttura temporale à la Joyce, iniziano al mattino e si concludono alla sera; le immersioni fluviali del detenuto, oltre a suggerire un moto di libertà fungono, cioè l’ultima funge, da stacco verso il frammento seguente; l’assassinio a bruciapelo del ragazzo e dell’amico; l’autorità emanata dal leader del gruppo paramilitare (quindi, complimenti al suo interprete). Questo è quanto, poi nell’approccio che il sottoscritto ha nei riguardi di una visione a parte rari casi egli (ovvero: io) vorrebbe ricevere sempre qualcosa di più dall’esemplare visionato, richiesta che mi sentirei di avanzare anche per la pellicola di Forero. Forse è che la necessaria aderenza al tema principale abbassa un po’ le aspettative perché una volta inteso il procedimento si finisce in un imbuto del quale si sa all’incirca dove andrà a parare, l’effetto sortito non sarà depotenziato ma nemmeno intensificato come era auspicabile, se si fosse lavorato in direzione di una trascendenza, di una metafisica dell’immagine, la misura avrebbe acquistato verticalità e la stazza del film ne avrebbe giovato, invece si resta in un orizzonte piuttosto concreto che non permette ac(/s)censioni memorabili.

¡Muchas gracias Dries!

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