mercoledì 24 marzo 2021

A Decent Woman

Lukas Valenta Rinner è nato nel 1985 a Salisburgo il che ci permette, con tutta la pigra comodità critica possibile, di dire ehi, non è un caso allora se da Los decentes (2016) le suggestioni bussano alla porta di due autori austriaci come Seidl, per via di un’insistenza su quell’estetica del corpo umano sgraziato, e Haneke a causa di un’incursione nella linda (si fa per dire) classe agiata argentina, in più il regista si concentra sulla figura di Belen, una donna timida e malinconica che nel recente cinema latinoamericano può vantare non pochi predecessori, sia maschili che femminili (ricordiamo ad esempio i primi film che sovvengono: Octubre [2010] e Porfirio [2011]). Dall’interazione della neoassunta domestica con un mondo circostante che chiaramente non le appartiene si innesca un meccanismo “facile”, non così condannabile, ma veicolatore di un senso che pur operando nell’allegoria è di rapida comprensione, in sostanza apprendiamo senza particolare sforzo il disegno concettuale che vede Belen in totale disagio nella realtà civile in cui vive (prova ne è il non-rapporto con la guardia del quartiere residenziale) e che di conseguenza trova se stessa nella comunità di nudisti al di là del recinto elettrificato. L’opposizione (anche visiva) dei due cosmi è netta e, a causa della sua evidenza, fa venir meno il piacere di una sua eventuale esplorazione. Ciò non leva niente alla regia di Valenta Rinner, all’impostazione geometrica, chirurgica, quasi pittorica impressa nell’opera.

Poi gli ultimi venti minuti mutano la connotazione del film. Emerge un altro significato: qui non si parla tanto di una vicenda personale, non è soltanto la storia di Belen, è una storia collettiva che traspone per immagini le disuguaglianze sociali fuori dallo schermo attraverso un’esacerbazione dal carattere lanthimosiano. Ora, ci sarebbe da capire se sia stato più abile il regista a mimetizzare i piccoli segnali d’allarme che rimandavano ad una mappa globale più grande (il soffermarsi sulle reti), oppure più tonto il sottoscritto a cui sono sfuggiti, almeno fino alla mattanza conclusiva, i potenziali sviluppi della situazione inscenata, fatto è che comunque l’insurrezione dei naturisti che vogliono vendicare il compagno ucciso è sì e no dilettevole e imprime una svolta non così in linea con ciò che si è visto fino a quel momento, perlomeno narrativamente parlando perché di contro l’intelaiatura metaforica dall’immediato riscontro ci segue passo passo. Però vedibile dài, sufficiente per tre quarti di proiezione con scatto rispettabile sul finale.

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