giovedì 18 marzo 2021

Demoni i tuoi occhi

A proposito di Pedro Aguilera: il debutto (La influencia, 2007) pur facendo parte di una routine festivaliera lanciava dei segnali autoriali che sarebbero poi sbocciati nel successivo Naufragio (2010), un capolavoro che aveva letteralmente folgorato chi scrive e che, giusto per suggerirne la caratura, arrivava in zone dove forse nemmeno il miglior Dumont era mai arrivato, di conseguenza nel giochino delle aspettative Demonios tus ojos (2017) si caricava di un hype davvero considerevole. Ultimata la visione si è però costretti a tramutare l’eccitazione in cocente delusione: Sister of Mine (titolo internazionale che per arguzia sarà stato sicuramente suggerito dai distributori italici) è un film brutto, desolatamente brutto. Le perplessità si collocano ex ante allo svolgimento: un regista residente in America trova su un sito porno il filmato amatoriale della sorellastra che vive in Spagna, così si reca in Europa con intenzioni alquanto ambigue. Il punto non è tanto la trama in sé (su cui comunque ci sarebbe da inorridire per lo scimmiotamento di un Ozon a caso), quanto il fatto che si debba stare qua a parlare di trama, di scrittura, e quindi di sceneggiatura, attori professionisti, dialoghi e via discorrendo, ciò rende la pellicola diversa da quanto Aguilera ci aveva proposto ma uguale, purtroppo, a moltissime altre, a prescindere dal suo contenuto provocatorio (?). La domanda è: perché il regista spagnolo ha voluto infognarsi in una storia a dir poco fragile, inadatta a riempire sia lo schermo che lo sguardo di chi assiste? Perché poi si insiste nel tentativo di aizzare i placidi animi spettatoriali per mezzo di discutibili romanzature che non fanno del bene a nessuno, né a noi né al cinema?

C’è allora un ulteriore interrogativo: è possibile una lettura più profonda del tutto? Cioè si può andare oltre la patina voyeuristica? Non è un mistero che vi siano degli elementi adibiti ad una autoriflessione: Oliver di mestiere fa il regista, è uno che guarda, anche se stesso sgranando gli occhi davanti allo specchio, e in qualche modo è l’alter ego di Aguilera (le domande che gli vengono poste durante il picnic sembrano rivolte a lui), inoltre è lampante l’attenzione riposta nell’azione che sostanzia il cinema, nel vedere, vedere dell’altro, altro, oltre, qui l’allegoria diegetica è costituita da uno spy video ovale posizionato nella camera di Aurora. Ma vedere cosa? Se ripensiamo a Naufragio quello che si vedeva era proprio ciò che non si poteva vedere e che infatti non vedevamo, almeno non con le pupille, in Demonios tus ojos il campo dove ci tocca dibattere è banalmente illustrativo pertanto il cinema che si genera, pur pensandosi, non supera la barriera del disegnino. Se lo si vuole la conclusione invita ad una susseguente considerazione, Aguilera infatti vira con decisione nella coscienza interna della vicenda piazzando Aurora davanti a Cannibal Holocaust (1980), il feticcio per antonomasia dell’exploitation, le interpretazioni sono aperte: la ragazza ha definitivamente perso ogni residuo di innocenza? Demoni i tuoi occhi è consapevole della sua forma e della sua sostanza guardando a Deodato come un’origine, un focolaio luciferino?

Bah e ancora bah. Ragionare su prodotti del genere è lecito sebbene vi siano ciclopiche magagne riconducibili al materiale finzionale da far accapponare la pelle, snodi, soluzioni, momenti che non sfigurerebbero nelle scene di raccordo di un filmetto hard (maddài: Oliver che si infratta con Aurora ed il fidanzatino che li becca amoreggiare, per non dire del biasimevole fratellone colto sul fatto con la migliore amica della sorellina). È noia, è pena, se si vuole operare nella fiction è indispensabile usare un taglio verosimigliante, se non può essere vero che ce ne venga data almeno l’apparenza, e se così non è si scade in una comicità involontaria che trascina via anche la manovra di ispessimento concettuale.

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