C’è allora un ulteriore interrogativo: è possibile una lettura più profonda del tutto? Cioè si può andare oltre la patina voyeuristica? Non è un mistero che vi siano degli elementi adibiti ad una autoriflessione: Oliver di mestiere fa il regista, è uno che guarda, anche se stesso sgranando gli occhi davanti allo specchio, e in qualche modo è l’alter ego di Aguilera (le domande che gli vengono poste durante il picnic sembrano rivolte a lui), inoltre è lampante l’attenzione riposta nell’azione che sostanzia il cinema, nel vedere, vedere dell’altro, altro, oltre, qui l’allegoria diegetica è costituita da uno spy video ovale posizionato nella camera di Aurora. Ma vedere cosa? Se ripensiamo a Naufragio quello che si vedeva era proprio ciò che non si poteva vedere e che infatti non vedevamo, almeno non con le pupille, in Demonios tus ojos il campo dove ci tocca dibattere è banalmente illustrativo pertanto il cinema che si genera, pur pensandosi, non supera la barriera del disegnino. Se lo si vuole la conclusione invita ad una susseguente considerazione, Aguilera infatti vira con decisione nella coscienza interna della vicenda piazzando Aurora davanti a Cannibal Holocaust (1980), il feticcio per antonomasia dell’exploitation, le interpretazioni sono aperte: la ragazza ha definitivamente perso ogni residuo di innocenza? Demoni i tuoi occhi è consapevole della sua forma e della sua sostanza guardando a Deodato come un’origine, un focolaio luciferino?
Bah e ancora bah. Ragionare su prodotti del genere è lecito sebbene vi siano ciclopiche magagne riconducibili al materiale finzionale da far accapponare la pelle, snodi, soluzioni, momenti che non sfigurerebbero nelle scene di raccordo di un filmetto hard (maddài: Oliver che si infratta con Aurora ed il fidanzatino che li becca amoreggiare, per non dire del biasimevole fratellone colto sul fatto con la migliore amica della sorellina). È noia, è pena, se si vuole operare nella fiction è indispensabile usare un taglio verosimigliante, se non può essere vero che ce ne venga data almeno l’apparenza, e se così non è si scade in una comicità involontaria che trascina via anche la manovra di ispessimento concettuale.
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