lunedì 15 marzo 2021

The Last Fakir

Si potrebbe, anzi: si dovrebbe, bypassare a cuor leggerissimo un cortometraggio come O teleftaios fakiris (2005) per un motivo che riguarda fondamentalmente il tempo, il nostro tempo buttato via dietro ad una cosa minima, un lavoretto simil-studentesco che se non esistessero le odierne piattaforme web sarebbe già sparito dalla circolazione, però, nel caso in cui siate rimasti intrigati dal cinema ellenico dell’ultimo decennio, potreste aver avuto l’idea di andare a rintracciare quelle opere firmate da registi che di lì a poco avrebbero generato la new wave greca. Purtroppo devo confessarvi che no, non è di sicuro una delle idee più brillanti da mettere in pratica, prova ne è, a mio parere, la terribile visione di O kalyteros mou filos (2001) del deus ex machina Lanthimos (un po’ meglio andò con Fit [1994] di Athina Tsangari ma era una cosa diversa), se poi l’indagine filologica in oggetto riguarda Babis Makridis il cui primogenito L (2012) aveva già deluso parecchio le aspettative, allora non c’è proprio la minima speranza per The Last Fakir.

La storia è liberamente ispirata da un racconto di Luis Sepúlveda ed illustra come può le vicende di un impresario che si arrangia alla bell’e meglio organizzando spettacoletti con protagonista Ali Kazam, l’ultimo fachiro. L’ironia che aleggia nella vicenda (l’unico aspetto appena accettabile) è accompagnata da una confezione scolastica di dozzinale fattura, la non pertinenza cronologica degli eventi è un brodino che si manda giù perché il menù non offre altro, il nodo della questione poi, ovvero la possibilità che il fachiro abbia davvero dei poteri e che quindi a differenza del suo manager non sia un impostore, è una sciocchezzuola che, da classica tradizione narrativa, sfocia nel finale a sorpresa, conclusione che tra l’altro dovrebbe divergere dal testo dello scrittore cileno. Detto ciò: kalinýchta.

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