sabato 27 marzo 2021

Daimi

Possibile che Daimi (2012) si generi dal precedente Duer skal flyve frit i himlen (2010, non visto ma da immagini e sinossi il legame pare forte) e che al contempo sia stato un trampolino di lancio per i lavori successivi della danese Marie Grahtø Sørensen, come prima: seppur non visionati sulla carta sembrerebbe costante l’attenzione verso il mondo adolescenziale, una dimensione che nel cortometraggio sotto esame prende forma e consistenza in un’atmosfera che guarda al Gilliam di Tideland (2005) mettendo in scena la bizzarra solitudine di una ragazzetta bruna che vive con il suo maialino in una casa disastrata: è Natale o forse lo è stato tempo prima, il disordine e la sporcizia arrivano al nostro occhio con credibilità, i toni sono cupi e sostano nelle zone di una fiaba nera, dolceamara, occlusa nell’aria pesante di una abitazione-bunker, un uovo che custodisce i suoi macilenti pulcini (il parallelo è proposto da una sequenza del film stesso). C’è del mestiere dietro, la regista, all’epoca ventottenne, sfrutta bene le potenzialità del contenitore short puntando più sul “clima” che sul racconto sebbene Daimi, comunque, si iscriva nella sezione narrativa.

Governata la superficie Grahtø Sørensen ci informa sul fulcro della vicenda, ovvero la questione materna capace di annoverare un’entrata filmica (se così può essere definita) che si guadagna un certo rispetto, in quelle dita rigide ed insanguinate che penzolano dalla vasca da bagno si situa un po’ tutto il senso dell’opera, la morte, e quindi il distacco definitivo, è respinta dalla vitalità di una teenager, di una figlia che, consapevole o meno della grande illusione creata, conduce un’esistenza a parte, ma il corpo della madre, lasciato sempre fuori campo ad esclusione di alcuni dettagli, è un pianeta che reclama il proprio satellite e nel momento clou dove l’acqua assume il simbolo di catino amniotico, accade un nuovo inizio, si sfonda il muro della realtà (già sotto attacco per tutta la durata del corto) e si dà il via ad una successiva continuità. Una nuova mamma e una nuova figlia escono dal guscio.

Nota a margine: è facile stupirsi, a volte esagerando, sulle qualità recitative dei bambini nel cinema quando forse per loro privi di filtri e inibizioni adulte è addirittura più facile che per i professionisti, ma accidenti, questa Bebiane Ivalo Kreutzmann da quel che si vede in Daimi sembra nata per stare davanti ad una videocamera.

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