Governata la superficie Grahtø Sørensen ci informa sul fulcro della vicenda, ovvero la questione materna capace di annoverare un’entrata filmica (se così può essere definita) che si guadagna un certo rispetto, in quelle dita rigide ed insanguinate che penzolano dalla vasca da bagno si situa un po’ tutto il senso dell’opera, la morte, e quindi il distacco definitivo, è respinta dalla vitalità di una teenager, di una figlia che, consapevole o meno della grande illusione creata, conduce un’esistenza a parte, ma il corpo della madre, lasciato sempre fuori campo ad esclusione di alcuni dettagli, è un pianeta che reclama il proprio satellite e nel momento clou dove l’acqua assume il simbolo di catino amniotico, accade un nuovo inizio, si sfonda il muro della realtà (già sotto attacco per tutta la durata del corto) e si dà il via ad una successiva continuità. Una nuova mamma e una nuova figlia escono dal guscio.
Nota a margine: è facile stupirsi, a volte esagerando, sulle qualità recitative dei bambini nel cinema quando forse per loro privi di filtri e inibizioni adulte è addirittura più facile che per i professionisti, ma accidenti, questa Bebiane Ivalo Kreutzmann da quel che si vede in Daimi sembra nata per stare davanti ad una videocamera.
Nessun commento:
Posta un commento