
Leggendo
solo che la sinossi del precedente En el fondo del pozo
(2004), cortometraggio incentrato su Campo Elías Delgado, un serial
killer colombiano che il 4 dicembre 1986 uccise ventinove persone a
Bogotá, si capisce che al regista Jorge Forero interessa
approfondire i risvolti “neri” della sua Colombia, cosa
che continuerà a perseguire anche un decennio dopo. Violencia
(2015), passato da Berlino ’15, non si abbandona a chiacchiere
inutili (e non è un modo di dire, i dialoghi sono parecchio
risicati), la frontalità e la concisione del titolo dicono già
tutto, però, a dispetto di un nome così diretto, il relativo
contenuto di cui diventiamo spettatori è appositamente lasciato in
uno stato non didascalico. Beninteso, l’accesso alla narrazione è
immediato e comprensibile fin dalle prime battute, quello che viene
eliminato da Forero è il contorno di cause ed effetti, di psicologie
e meccanismi sceneggiaturiali vari, forse tale riflessione è
maggiormente applicabile al primo episodio del prigioniero, un
segmento teso e asciutto che non dà spiegazioni, negli altri due
affiora qua e là il segno di una scrittura (soprattutto la seconda
porzione), ma nell’insieme non si può considerare l’opera come
esageratamente illustrativa né marcatamente artificiosa. Ho fatto
riferimento ad una suddivisione del corpo filmico perché la
peculiarità di Violencia
è proprio quella di essere tripartito, e non solo: ognuno dei tre
pezzi non dipende in maniera esplicita dall’altro, nel senso: non
vi è un rapporto di esposta connessione tra loro, c’è, di contro,
un’unione sotterranea che rafforza il concetto di una produzione
non leggibile “alla lettera” e che rientra nell’obiettivo di
inquadrare la drammatica realtà di un Paese attraverso una triade
che converge in un unico buco nero: quello della violenza, appunto.
Cose a mio avviso da ritenere apprezzabili: vero che non ci sono
collegamenti manifesti, altrettanto vero che la terna di storie ha
una struttura temporale à la Joyce, iniziano al mattino e si
concludono alla sera; le immersioni fluviali del detenuto, oltre a
suggerire un moto di libertà fungono, cioè l’ultima funge, da
stacco verso il frammento seguente; l’assassinio a bruciapelo del
ragazzo e dell’amico; l’autorità emanata dal leader del gruppo
paramilitare (quindi, complimenti al suo interprete). Questo è
quanto, poi nell’approccio che il sottoscritto ha nei riguardi di
una visione a parte rari casi egli (ovvero: io) vorrebbe ricevere
sempre qualcosa di più dall’esemplare visionato, richiesta che mi
sentirei di avanzare anche per la pellicola di Forero. Forse è che
la necessaria aderenza al tema principale abbassa un po’ le
aspettative perché una volta inteso il procedimento si finisce in un
imbuto del quale si sa all’incirca dove andrà a parare, l’effetto
sortito non sarà depotenziato ma nemmeno intensificato come era
auspicabile, se si fosse lavorato in direzione di una trascendenza,
di una metafisica dell’immagine, la misura avrebbe acquistato
verticalità e la stazza del film ne avrebbe giovato, invece si resta
in un orizzonte piuttosto concreto che non permette ac(/s)censioni
memorabili.
¡Muchas gracias Dries!
De nada Amigo :D
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