Da rivedere la svolta narrativa, se così può essere definita, che cambia letteralmente volto alla pellicola, è un ribaltamento segnato da una notevole sequenza che getta uno spesso alone di mistero su tutta la faccenda e che amplifica lo spettro interpretativo. Siamo nel terreno delle ipotesi ma sembrerebbe proprio che Miguel, sopravvissuto miracolosamente alla fucilata del capitano, giunga in una fattoria dove il bambino, che si chiama come lui, aspetta probabilmente invano il proprio papà. Scopriremo solo dopo che una sostanziosa ellissi ha tagliato fuori dalla storia ben sette anni, ma l’impressione è che Scheuer faccia un passo oltre, che scompaginando la linearità fino a quel momento registrata suggerisca un’apprezzabile idea di tempo circolare e non essendoci alcun tipo di letteralità ogni cosa galleggia nel dubbio e nell’instabilità, stati d’animo che mai e poi mai disdegnerei al cospetto di una visione. Note meno positive sul comparto sonoro, ed è un paradosso visto che sarebbe il primo mestiere del regista, però le entrate musicali atte ad intensificare quella o quell’altra scena non hanno troppa ragion d’essere in un esemplare scolpito nella potenza dell’immagine, e leggera disapprovazione anche su un finale che poteva regalare emozioni differenti, piccole macchie che comunque non mi schiodano dal parere generale, El desierto negro è, infatti, un film che sento di consigliare.
mercoledì 3 febbraio 2021
El desierto negro
Non gli
manca sicuramente una cura formale di alto profilo a questo film del
2007 intitolato El desierto negro che
rappresenta, tra l’altro, il debutto di Gaspar Scheuer, tecnico del
suono argentino dal lunghissimo curriculum, e basta osservare il
prologo con l’uccisione del padre il cui corpo esanime piomba di
colpo in un’insondabile e quasi caravaggesca oscurità per
comprendere la qualità estetica dell’opera. La prima parte,
soprattutto, seguendo il fuggitivo (ah sì: è il racconto di una
fuga) nella pampa o in un territorio simile si esalta nei contrasti
argentei dell’ambiente tra il lucore del giorno (affascinanti i
passaggi tra le spighe di grano) ed il fatale buio notturno, e poi
geometrie ottiche di rilievo (un campo lungo molto tarriano con
carretto sul filo dell’orizzonte), piani ad effetto (quando si
stringe sul viso accigliato del protagonista, un Franco Nero emerso
dalle tenebre, ci ritroviamo in un western che più dark
non si può), chicche gradite (in uno dei momenti topici si diffonde
il colore [inevitabilmente rosso] nel massiccio bianco/nero).
Insomma, Scheuer e i suoi collaboratori hanno effettuato un egregio
lavoro nel settore visivo tanto che potremmo considerare El
desierto negro il degno
predecessore dell’ottimo El Movimiento
(2015), ma rispetto al titolo di Naishtat qui parliamo di un oggetto
privo di particolari risvolti allegorici, è maggiormente un film “di
trama” nonostante l’evoluzione della scrittura sia ampiamente
diluita nel fare contemplativo di cui si avvale.
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