domenica 3 settembre 2017

Gorod Zero

Non è un film molto conosciuto in Italia (e non solo) Gorod Zero (1988), e lo dico con l’unica cartina tornasole a disposizione, la Rete, nella quale non si rintraccia una degna recensione che sia una, ed è curioso perché questo strano oggetto non identificato che porta la firma del russo Karen Šachnazarov è un ghiotto piatto che potrebbe soddisfare l’appetito weird di quei cercatori di pepite cinematografiche disperse nel tempo e nello spazio, e, per allacciarmi al volo con il commento, proprio i due elementi fondanti appena citati hanno un ruolo importante nella pellicola, non per la loro presenza ma per la loro assenza: quella del regista nato a Krasnodar è una vicenda che non ha punti di riferimento definiti, a parte la connotazione geografica (che è fondamentale), le vicissitudini del povero Varakin si sfilacciano in rivoli via via sempre più alieni e disorientanti (per lui e per noi), ne è prova l’incredibile visita al museo sotterraneo che sradica la logica e la Storia attraverso dei diorami viventi che hanno un valido impatto estetico anche a distanza di quasi trent’anni; la forma qui si coniuga ad una ricerca del bizzarro, dell’astruso, del bislacco che fa in modo di accettare un profuso intorbidimento bilanciato dalla sensazione che comunque ci sia un ordine a concertare il tutto. Ahinoi negli anni abbiamo visto usare troppo dissennatamente l’aggettivo “kafkiano”, non so se Gorod Zero possa fregiarsi di tale qualità, certo è che è raro trovare una rappresentazione così originale (e convincente) del singolo inerme fagocitato da un sistema schiacciante.

Perché le diffuse stramberie non sono fini a se stesse visto che il film altro non è se non una grande allegoria del momento storico vissuto all’epoca dall’Unione Sovietica, una metafora che non lesina ironia e soluzioni intriganti: prendiamo l’episodio del ristorante, una scena che apparentemente non avrebbe particolari potenzialità è invece lo spunto utilizzato da Šachnazarov per espandere una bolla che non può fare a meno di ingigantirsi di minuto in minuto, tra nessi all’universo russo non così facili da cogliere per noi europei (ma il bello sta anche qua) e l’inaspettata nonché improbabile svolta da pseudo-giallo con tanto di morto e sospettato, ecco profilarsi che cosa Città Zero (a proposito, il film è citato anche con il titolo italiano, ma è mai uscito da qualche parte?) nasconde realmente sotto la sua maschera stravagante, ossia il ritratto di una nazione in transizione e di una società “chiusa” la cui breccia aperta da un evento banale come un tizio che balla per la prima volta il rock and roll finisce con gli anni per trasformarsi in una scheggia impazzita che rivoluziona il piccolo grande mondo illustrato, ed è inoltre interessante l’espletamento del processo con cui Varakin viene assoggettato al volere di loschi personaggi e di come al contempo sia spersonalizzato e annullato, diventa perciò evidente, alla fine, di quanto poco siano velati i rimandi alla situazione extrafilmica sul finire degli anni ’80 in Russia.

Devo assolutamente ringraziare Indie-Sci-Fi che mi ha suggerito Gorod Zero parlando di Dead Man’s Letters (1986), se avete voglia di dare una scorsa ai commenti di quel post troverete delle informazioni interessanti sul lavoro di Šachnazarov e sui correlati retroscena politici.

2 commenti:

  1. Grazie, Eraser! Molto interessante la lattura di chiesto film attraverso gli occhi di una persona dell'Occidente.

    P. S. Varakin, non Varkin! :)

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  2. Correggo il nome e grazie a te, di nuovo, per il suggerimento!

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