Junkyard (2012) è
un flash, nel senso che si prende carico di rappresentare
l’abbacinante (che non è rappresentabile, infatti il corto termina
in un nitore indefinito), il lampo che precede la morte: Hisko
Hulsing, factotum dell’animazione avendo messo mano in ogni
processo creativo, dai disegni – ovviamente – alle musiche, per
mostrare questa cosa così impossibile preferisce accomodarsi su una
struttura piana ed accogliente, quella della narrazione
classicheggiante che vede nell’istante del decesso una poderosa
regressione mnemonico-temporale relativa al passato del protagonista.
È una scelta che imbullona il film in una dimensione terrena, non
c’è apertura, sgomento, spaesamento, il racconto segue fedelmente
le costrizioni dell’affabulazione portando a ritrattismi netti (il
bravo ragazzo e quello cattivo) e ad una consequenzialità che sfocia
in un immancabile colpo di scena rivelatore. Hulsing insomma gioca
facile, non osa il distacco dagli ingranaggi del cinema
prefabbricato, si siede nella platea pigra, la platea che ha bisogno di
storie con un capo e una coda.
Ma sarei un bugiardo se
dicessi che Junkyard è un’opera da archiviare per via di un
impianto non troppo originale. Nella visione dell’olandese prima
delle componenti sceneggiaturiali c’è un “qualcosa” che
magnetizza. Capisco l’insopportabilità del termine “qualcosa”,
ma dovete starci: Junkyard ha un’atmosfera, un ambiente,
un’aria che soffia fuori della roba che sa sfiorarti, sicuramente
la mistura tecnica fa il suo, questa tendenza dell’animazione
odierna di coniugare il 2D con il 3D produce quasi sempre effetti
positivi, cortocircuiti estetici che propagano un certo straniamento,
in più la ricostruzione geografica che, visto anche l’accento dei
doppiatori, trasporta in una periferia inglese degli anni ’80
trasmette un non si sa che di nostalgico. Ma al di là di tali elementi
c’è un flusso invisibile in Junkyard che arriva a
prescindere dal veicolamento stravisto, alla fine dentro la schermata
bianca c’è tutta una vita da poter leggere, e dopo appena diciotto
minuti non è una questione trascurabile.
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