Corsetta nel bosco con
delitto.
Anonimo cortometraggio
ungherese che nel 2011 concorse addirittura per l’Orso d’Oro di
categoria a Berlino, competizione che fu poi vinta da Park Chan-wook
con Paranmanjang (2011). Anonimo perché Erdő,
scritto e diretto da György Mór Kárpáti che
tre anni dopo porterà a Cannes Provincia (2014), altro
lavoro dall’ambientazione agreste, si mimetizza docilmente in una
banale finestra di stampo mistery dove mai come in questo caso si
comprende il disegno del regista: tranciare ogni nesso tramico per
far affiorare qualche indizio, sbirciare, supporre. Messo così
l’impianto non sarebbe neanche male, d’altronde sono un fervente
sostenitore di una sovversione di quei canoni narrativi che
metastatizzano gran parte del cinema che ci accerchia, e quindi
merito a Kárpáti per il tentativo, le lodi però
si arrestano subito: cioè, troppa l’orizzontalità
dentro Erdő, una piccola grande noia vela questa manciata di
minuti. L’eventuale potere suggestionante, ovvero ciò che il
regista avrebbe voluto porre nel nucleo filmico poiché egli
stesso incontrando un tizio in un bosco ebbe la sensazione di
trovarsi al cospetto di un assassino, non agisce minimamente sullo
spettatore restando un flebile proposito. Non emerge l’introiezione
della morte da parte del ragazzo, né la si avverte oltre lo
schermo.
Nella sua breve parte
centrale Erdő si occupa di riprendere uno strano gioco
condotto da un gruppo di ragazzi i quali, dopo essersi appiccicati
sulla fronte un foglio con un numero scritto sopra, scappano in un
bosco braccati non si sa bene da cosa. A fine visione ho pensato per
un attimo che Kárpáti
fosse stato meno scontato di quanto mi era sembrato in prima battuta,
con un’interpretazione ardita è parso quasi che i giovani
numerati raggruppati in una sorta di comune potessero rappresentare
un campo di concentramento segnato dalle uccisioni dei propri
compagni, ma tale visione regge ben poco anche perché non pare
che il killer faccia parte della comitiva così come la sua
vittima, e quindi non si può che fare ritorno all’idea
manchevole di un omicidio occasionale senza alcuna astrazione e di
un’esile rappresentazione delle conseguenze emotive
riguardanti il testimone oculare.
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