lunedì 9 gennaio 2017

Il mnemonista

Do voce ad un film italiano sommerso, dotato di quella clandestinità che oggi, diciassette anni dopo, trasuda dal rippaggio di un VHS: è inevitabilmente un film dimenticato Il mnemonista (2000), probabilmente mai visto, ed è paradossale proprio perché ciò su cui si concentra è esattamente la memoria: l’esperire ed il ricordare, qui portato all’acme di ogni possibile processo: S., Sandro Lombardi colonna fantasmatica del film, è schiacciato dal continuo sbocciare di reminescenze fino ad ingarbugliare i piani della realtà e dell’immaginazione, “il tempo scorre e confonde” dice una scritta su un muro distrutto poco dopo, e l’andamento dell’opera segue questa scia. Perché sì che siamo di fronte ad un cinema narrativo, ma è anche vero che la narrazione è dinamitata da lampi e deviazioni che annullano la progressione degli eventi, il tempo filmico in sostanza non ha un percorso lineare e lo si afferra da rapidi accadimenti come quando il dottore riceve una cartolina che sembra giungere dal “futuro”, o come quando nello spazio di qualche frame si dice siano passati anni ed anni nei quali S. ha cambiato molti lavori, la dimensione labirintica dell’opera diventa allora la puntuale simmetria del cervello dell’uomo, senza coordinate non si può fare altro che abbandonarsi all’avanzare delle immagini.

Paolo Rosa, deceduto nel 2013 e padre fondatore del collettivo avanguardistico Studio Azzurro di Milano, restituisce ai nostri occhi quanto detto sopra attraverso un fluire ricolmo di accenti che ingioiellano la pellicola e la rendono un oggetto dagli echi sperimentali, sicuramente dotata di un’identità forte che l’ha fatta distinguere ma, vista la sua misconoscenza, anche lentamente estinguere. Scelte intriganti come i minuti iniziali col monologo di S. poi decostruito con l’inizio del film, flashback arricchenti che piacerebbero parecchio al primo Julio Medem, e in generale il procedimento che esplica cinematograficamente il meccanismo mentale del ricordo da parte di S. con le sue associazioni eidetiche, veri strappi, fenditure, pozzi fantasiosi, rendono Il mnemonista un film che nel farsi inizialmente campo di studio psicologico e linguistico sa evolversi in un impeto surreale che non è impeto, ma sussurro vitale di un cinema interrato.

Davanti alla mdp Roberto Herlitzka e Sonia Bergamasco, dietro anche Martina Parenti (Il castello [2011] e Materia oscura [2013]).

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