lunedì 23 gennaio 2017

We Are the Flesh

Ci sono molte possibilità che Tenemos la carne (2016) possa diventare un cult sotterraneo pronto a gonfiarsi di bocca in bocca, di blogger in blogger, e le ragioni non sono tanto rinvenibili nella qualità artistica che lo permea perché a mio modo di vedere il cinema è un’altra cosa, quanto nell’anarchia in cui Emiliano Rocha Minter scaraventa la sua opera di debutto (transitata anche in Italia al Milano Film Festival) e all’intraprendenza mostrata nel fottersene di quella razionalità inchiodante per dare sfogo ad un campionario di pulsioni che ci portano sempre lì: alla fica e al cazzo, e alla necessità di raggiungere quell’ultimo definitivo orgasmo estasiante (il luciferino padrone di “casa” eiacula e poi muore), nel mezzo, cioè nella vita: il delirio, succede di tutto per Rocha: rapporti incestuosi, mestruo schizzato in bocca, resurrezioni, orge, al regista messicano classe ’90 di sicuro non piace avere filtri e quello che vuole far vedere te lo sbatte nelle pupille con tutta una messa in scena low cost che però sa perturbare, oculata è infatti l’attenzione al reparto cromatico e a quello sonoro che unendosi creano una congiunzione autistico-ipnotica capace di proiettare nell’astrazione imperante, il sottotitolo è: astenersi puristi della narrazione o seguaci del rigoroso autorialismo, qua vige il caos (“ricorda che il caso è il peggior criminale che abbia mai camminato sulla terra”), il nonsense, lo sfoggio di una sessualità dissoluta.
Come un You and the Night (2013) senza freni inibitori, come un Noé che ha esagerato con gli acidi, ad Emiliano Rocha, la cui fonte di ispirazione principale è Zulawski (e si vede), è stato attribuito il merito di aver fatto un film “corporale”, d’altronde un titolo del genere e la costante presenza di attori nudi sul set potrebbe far pensare così, ma la corporalità nel cinema è modulata da frequenze che non si sposano granché con una tizia che spompina – con fallo finto – il fratello (basta vedere un film di Philippe Grandieux a caso per capire), allora è più ammissibile parlare di un’illustrazione del corpo all’interno dello spazio-cinema, e da questa angolazione We Are the Flesh suscita fascinazione perché è in grado con soltanto tre interpreti e un’abitazione ristrutturata a mo’ di grotta-ventre a frullare robe anche altissime, intanto al connubio vita-morte non si sfugge mai, le quali comunque si subordinano alla voluttuosità della carne, la carnalità, intesa come stato d’eccitazione febbrile, quasi animalesco, è la vera ed unica protagonista dell’opera, e la regressione razionale a cui assistiamo è pari al turbine psico-lussurioso in cui rinculano i personaggi del film, e più che intendere la caverna come il grembo di una donna, questo spazio chiuso e claustrofobico è una rappresentazione celebrale, è un cranio visto da dentro dove l’Es scatena i propri incontrollabili stimoli, e nonostante quanto proposto possa irritare lo spettatore (una recensione negativa su IMDb lo definisce così: “In my opinion it’s both shocking and boring, really. Shockingly boring, too” [link]), va altresì riconosciuto il suo essere anomalia del sistema, perché essere fastidiosi non è sempre un attributo deleterio. Tra l’altro gran bel finale che ricorda parecchio quello di House of Tolerance (2011), altro mind-movie ma più elegante, e che potrebbe far ricredere sia i suoi detrattori che i suoi sostenitori, categorie di cui, per la cronaca, faccio parte senza riuscire a trovare un punto d’equilibrio.

Grazie a Dries che tempo fa sottopose alla mia attenzione Dentro (2013), primo corto di Rocha Minter che sicuramente sul versante estetico non c’entra nulla con Tenemos la carne, su quello semantico, uhm, forse ci sono dei piccoli collegamenti.

9 commenti:

  1. Essere citati da te è sempre un onore anche se io sono un detrattore di tenemos la carne :) dici bene quando sostieni : ''per dare sfogo ad un campionario di pulsioni che ci portano sempre lì: alla fica e al cazzo'' , per me sto film è alla stregua di un qualunque shock movies,( cose a caso per shoccare un pubblico che non lo vedrà mai) solo girato un po'meglio. Mi stupisce che Reygadas abbia contribuito alla produzione O_o

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  2. quale onore suvvia! Anzi ti sono comunque grato per l'imbeccata perché io pur continuando ad avere molti dubbi, a chi sta leggendo dico: guardatelo! Non so, aldilà dell'esibizionismo e dell'autocompiacimento qualcosa mi ha chiamato, cosa non so bene di preciso, ma meglio che nulla.

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    1. quello senz'altro, ma penso sia dovuto al fatto che le opere senza senso ( o presunte tali) conservino il fascino dell'oggetto misterioso. Poi Noè Hernandez è mostruoso come attore, la sua presenza luciferina vale la visione

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  3. Forse hai ragione, non so... proprio mi viene difficile farmi un'opinione precisa. Credo che un tempo mi sarei esaltato di fronte ad una visione del genere, adesso che invece perseguo altri registri tentenno. Una sola cosa è certa, che adesso me ne vado a dormire e domani sarà un altro giorno :)

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    1. ti capisco, provo gli stessi sentimenti contrastanti per Himatsuri di Mitsuo Yanagimachi, un film che a primo impatto ho bocciato ma che continua a girarmi in testa, complice anche un finale stratosferico, se lo hai visto mi piacerebbe sentire il tuo parere :)

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    2. Mai sentito! Me lo posso anche segnare, ma probabilmente non riuscirò a vederlo prima della mia prossima vita

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    3. è un film dell' 85, non dovresti aver problemi a trovarlo

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  4. Io l'ho trovato, in tutta onestà, una porcheria girata da Dio.
    Perchè porca eva, è uno dei film più autoreferenziali che mi siano mai capitati tra le mani, ma il messicano sa quantomeno come si tiene tra le mani una macchina da presa, e la sa muovere alla grandissima

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  5. Bene, vedo che non sono l'unico ad essere compresso nell'antitesi

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