lunedì 17 giugno 2019

Provincia

Anonimo era Erdő (2011) e anonimo è anche Provincia (2014): non sono bastati tre anni a György Mór Kárpáti per offrire al pubblico (che per l’occasione fu quello di Cannes) un lavoro migliorativo rispetto alla precedente apparizione, e cercando qualche sinonimo di “insulso” mi sono imbattuto in una parola che ben riassume il corto: insignificante, non saprei come altro definirlo constatata l’orizzontalità che lo caratterizza, e non è nemmeno una questione di tecnica perché Kárpáti è ordinato e misurato sul piano estetico, è piuttosto un infecondo concentrarsi sulla vicenda di Otto che narcotizza la visione, è un problema narrativo allora e per un film che non ha altro che il racconto come spina dorsale le cose si fanno davvero preoccupanti perché questo ordito ordinario ci dice le cose con una modestia che delude, sono messaggini fiochi, fuocherelli innocui che arrivano, si manifestano e passano senza segnare, troppo semplice infatti l’estromissione dalla routine lavorativa del protagonista contrapposta alla susseguente penetrazione nella nuova realtà archeologica, più che una chiave di volta è un’indicazione luminosa che non produce gli effetti sperati.

E i suddetti effetti per Kárpáti sarebbero stati quelli di porre una riflessione su concetti del tipo “ognuno ha un suo posto nel mondo”, oppure “ognuno, anche il più inetto, può essere utile al mondo”, e per giungere a tali vette filosofiche si serve già in apertura di una citazione eraclitea che evidenzia l’importanza degli sleepers, categoria di cui Otto fa presumibilmente parte dato un inizio che lo vede spaparanzato sui sedili del furgone a scarabocchiare un foglio. Ma tutto ciò, solo che a leggere, non ha provocato in voi un crescente stato di tedio? Non è con i modi e i tempi del giovane regista ungherese che possiamo provare quel piacere fruitivo nell’accedere ad un nucleo artistico, nel caso di Provincia riguardante un risveglio, una conversione, un ecco-cosa-voglio-fare-nella-vita, e sì che il rappresentare l’illuminazione di Otto per mezzo di alcune diapositive storico-pittoriche si staglia un minimo dal comune flusso filmico, si tratta comunque di una piccola trovata accerchiata dall’inutilità, giungono i titoli di coda ed è subito oblio.

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