Anonimo era Erdő
(2011) e anonimo è anche Provincia (2014): non sono bastati
tre anni a György Mór Kárpáti per offrire al pubblico (che per
l’occasione fu quello di Cannes) un lavoro migliorativo rispetto
alla precedente apparizione, e cercando qualche sinonimo di “insulso”
mi sono imbattuto in una parola che ben riassume il corto:
insignificante, non saprei come altro definirlo constatata
l’orizzontalità che lo caratterizza, e non è nemmeno una questione di tecnica perché Kárpáti è ordinato e misurato sul piano
estetico, è piuttosto un infecondo concentrarsi sulla vicenda di
Otto che narcotizza la visione, è un problema narrativo allora e per
un film che non ha altro che il racconto come spina dorsale le cose
si fanno davvero preoccupanti perché questo ordito ordinario ci dice
le cose con una modestia che delude, sono messaggini fiochi,
fuocherelli innocui che arrivano, si manifestano e passano senza
segnare, troppo semplice infatti l’estromissione dalla routine
lavorativa del protagonista contrapposta alla susseguente
penetrazione nella nuova realtà archeologica, più che una chiave di
volta è un’indicazione luminosa che non produce gli effetti
sperati.
E i suddetti effetti per
Kárpáti sarebbero stati quelli di porre una riflessione su concetti
del tipo “ognuno ha un suo posto nel mondo”, oppure “ognuno,
anche il più inetto, può essere utile al mondo”, e per giungere a
tali vette filosofiche si serve già in apertura di una citazione
eraclitea che evidenzia l’importanza degli sleepers,
categoria di cui Otto fa presumibilmente parte dato un inizio che lo
vede spaparanzato sui sedili del furgone a scarabocchiare un foglio.
Ma tutto ciò, solo che a leggere, non ha provocato in voi un
crescente stato di tedio? Non è con i modi e i tempi del giovane
regista ungherese che possiamo provare quel piacere fruitivo
nell’accedere ad un nucleo artistico, nel caso di Provincia
riguardante un risveglio, una conversione, un
ecco-cosa-voglio-fare-nella-vita, e sì che il rappresentare
l’illuminazione di Otto per mezzo di alcune diapositive
storico-pittoriche si staglia un minimo dal comune flusso filmico, si tratta
comunque di una piccola trovata accerchiata dall’inutilità, giungono
i titoli di coda ed è subito oblio.
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