giovedì 27 giugno 2019

La línea recta

Non vorrei scivolare nell’errore di giudicare un film attraverso la comparazione, ma se sono arrivato a La línea recta (2006) è per merito della visione di Aita (2010) che a distanza di anni ricordo ancora come un oggettino davvero niente male sorretto da un’affascinante intelaiatura sperimentale. L’opera di esordio del regista/fotografo José María de Orbe è invece di tutt’altra pasta poiché costituito da un taglio nettamente più classico che si configura in quel cinema-del-reale che ben conosciamo: tasso di finzione presente ma ridotto al minimo (la sceneggiatura è firmata anche da Daniel V. Villamediana, futuro regista di El brau blau [2008] – prodotto proprio da de Orbe – e de La vida sublime [2010]), snellimento dei dialoghi in rapporto ai film canonici, parecchia camera a mano intenta a catturare azioni e momenti del quotidiano, e quindi l’occhio registico si sofferma parecchio negli ambienti casalinghi e in quelli lavorativi. Ecco, ripensando ad Aita è automatico essere maggiormente attratti da un lavoro che si disallinea da quel cinema di cui invece La línea recta fa parte, e pur non parlando di un prodotto dozzinale quell’impressione di già visto pesa alquanto.

Nel suo sito (link) de Orbe sottolinea che il procedimento alla base del film è quello di proporre una storia fatta di mestizia e ordinarietà senza filtri cercando di far fluire le cose proprio come accadrebbero nella realtà, in tal modo né la narrazione né la protagonista Noelia presentano un’evoluzione, la dimensione statica, priva di un inizio ed una fine, è la puntuale traslazione delle vicende riguardanti la giovane che cerca in qualche modo di tirare avanti. Gli intenti teorici di de Orbe seppur lodevoli ed effettivamente riscontrabili si dimostrano accorgimenti troppo tenui per poterci infiammare durante la proiezione, questo piccolo mondo cristallizzato e ripetitivo non possiede la necessaria carica artistica annotabile in pellicole equipollenti (penso a tutte quelle provenienti dalla Romania nell’ultima decade che si fondano su identici substrati), mi sta bene l’estromissione di eventuali sottotesti (poteva esserci quello sociale visto che Noelia non se la passa bene in nessuno dei campi del mondo adulto) al pari di superflue spiegazioni (chi è la donna che vive con lei? Perché Noelia non ha nessuno?), e mi starebbe bene anche l’esposizione di un quadro raffigurante una vita solitaria presa nel cammino della sua esistenza senza troppi ghirigori drammatici ed intensificazioni finzionali, a patto però che la relativa restituzione diegetica sappia fornire degli stimoli a chi guarda, qui, più che l’assodare gli elementi preposti dal regista non c’è null’altro, inutile girarci intorno: Aita era ben altra cosa.

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