Non vorrei scivolare
nell’errore di giudicare un film attraverso la comparazione, ma se
sono arrivato a La línea recta (2006) è per merito della
visione di Aita (2010) che a distanza di anni ricordo ancora
come un oggettino davvero niente male sorretto da un’affascinante
intelaiatura sperimentale. L’opera di esordio del regista/fotografo
José María de Orbe è invece di tutt’altra pasta poiché
costituito da un taglio nettamente più classico che si configura in
quel cinema-del-reale che ben conosciamo: tasso di finzione presente
ma ridotto al minimo (la sceneggiatura è firmata anche da Daniel V.
Villamediana, futuro regista di El brau blau [2008] –
prodotto proprio da de Orbe – e de La vida sublime [2010]),
snellimento dei dialoghi in rapporto ai film canonici, parecchia
camera a mano intenta a catturare azioni e momenti del quotidiano, e
quindi l’occhio registico si sofferma parecchio negli ambienti
casalinghi e in quelli lavorativi. Ecco, ripensando ad Aita è
automatico essere maggiormente attratti da un lavoro che si
disallinea da quel cinema di cui invece La línea recta fa
parte, e pur non parlando di un prodotto dozzinale quell’impressione
di già visto pesa alquanto.
Nel suo sito (link) de
Orbe sottolinea che il procedimento alla base del film è quello di
proporre una storia fatta di mestizia e ordinarietà senza filtri
cercando di far fluire le cose proprio come accadrebbero nella
realtà, in tal modo né la narrazione né la protagonista Noelia
presentano un’evoluzione, la dimensione statica, priva di un inizio
ed una fine, è la puntuale traslazione delle vicende riguardanti la
giovane che cerca in qualche modo di tirare avanti. Gli intenti
teorici di de Orbe seppur lodevoli ed effettivamente riscontrabili si
dimostrano accorgimenti troppo tenui per poterci infiammare durante
la proiezione, questo piccolo mondo cristallizzato e ripetitivo non
possiede la necessaria carica artistica annotabile in pellicole
equipollenti (penso a tutte quelle provenienti dalla Romania
nell’ultima decade che si fondano su identici substrati), mi sta
bene l’estromissione di eventuali sottotesti (poteva esserci quello
sociale visto che Noelia non se la passa bene in nessuno dei campi
del mondo adulto) al pari di superflue spiegazioni (chi è la donna
che vive con lei? Perché Noelia non ha nessuno?), e mi starebbe bene
anche l’esposizione di un quadro raffigurante una vita solitaria
presa nel cammino della sua esistenza senza troppi ghirigori
drammatici ed intensificazioni finzionali, a patto però che la
relativa restituzione diegetica sappia fornire degli stimoli a chi
guarda, qui, più che l’assodare gli elementi preposti dal regista
non c’è null’altro, inutile girarci intorno: Aita era ben
altra cosa.
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