Free Range (2013),
ovvero la necessità di una visione dopo le luminose tenebre di
The Temptation of St. Tony (2009). Ma nello stolido giochino
del recensore che cerca connessioni/somiglianze tra i due film si
finisce per restare delusi. È così: c’è un
notevole gap tra l’opera del 2009 e quella del 2013, perché
l’Õunpuu di Free Range abbandona totalmente lo
slancio metaforico e l’ostinato estetismo in favore di una storia
dalla natura più classicheggiante, sia nei temi (paternità;
crisi: di coppia e lavorativa) che nella correlata esposizione. In
una intervista (link) Õunpuu elenca tutta una serie di
questioni contemporanee che dovrebbero soggiacere al film, io
onestamente ho fatto fatica a rintracciare un aggancio alle suddette
problematiche para-sociali, più che altro è il narrato
in sé ad essere troppo circoscritto intorno alle dinamiche
lui-lei, anzi si può anche estromettere Susanna dal discorso,
nell’occhio di bue può entrarci solo Fred, ne consegue in
sintesi l’impossibilità di potersi riversare in un’area
per così dire universale. O la storia non ha il potenziale
necessario per compiere un salto qualitativo (ma credo che ogni
storia, anche la più banale, abbia potenzialità
infinite), oppure Õunpuu non è stato sufficientemente
bravo a maneggiarla, livellando al posto di scavare, chiudendosi
invece che aprirsi. “Classicheggiante” è la parola chiave
(in negativo) di quanto finora scritto.
Un po’ come Reprise
(2006) di Trier, abbiamo un intellettuale o pseudo tale diviso tra i
propri miraggi professionali (con la sarcastica scenetta della
stroncatura di The Tree of Life [2011] che gli costa il posto
di lavoro) e i doveri di una vita adulta. Certo è che il
Nostro Fred è un personaggio con cui è arduo entrare in
sintonia a causa del suo atteggiamento infantile e dissoluto, ma
al di là della mancata empatia che di sicuro non può
essere usata come metro di giudizio, è il nucleo della
pellicola a non avere una direzione soddisfacente: non è di
denuncia perché c’è un’atmosfera naif che lo permea
e che lo allontana da pretese realistiche, al contempo però
non riesce a funzionare nell’ottica dell’astrazione come invece
faceva il suo illustre predecessore. Free Range galleggia
insomma in un limbo che lo paralizza, oltre ad un’ardita e
onnipresente colonna sonora (abbiamo anche una Forever Young
in slow-motion) e accenti disseminati qua e là (gli stacchi
colorati tra le scene; la finezza degli uccelli che nel momento
d’apice amoroso volano nel cielo mentre in quello di possibile
rottura si riducono a disegni su un muro), il quarto film di Õunpuu
non entra nell’ordine della memorabilità, al regista estone
non gli si chiede sempre un diamante oscuro come The Temptation of
St. Tony, basterebbe anche un lavoro in tono minore come quello
dell’esordio nel lungometraggio (Autumn Ball, 2007) il
quale, pur impostandosi su schemi narrativi già visti,
perlomeno utilizzava un registro grottesco capace di rendere più
pungente tutta la faccenda.
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