Avvistato già
molti anni fa con Begotten (1990), il cinema di Edmund Elias
Merhige non sembra essere troppo cambiato ventisei anni dopo (ma c’è
stato spazio anche per la sala: L’ombra del vampiro, 2000),
Din of Celestial Birds (2006) prosegue infatti sulla scia del
suo predecessore istituendosi in un lavoro di ostinata astrazione
dove la manipolazione in fase di editing plasma quello che è
un trip senza possibilità di ritorno: Merhige è
un’alchimista, Merhige è un pusher, Merhige è un
chirurgo che vuole farci entrare nelle oleose pieghe del nostro
cervello. All’inizio dice: “non abbiate paura, ricordate le
nostre origini”, difficile arrivare alla cosmogonia in dieci minuti
di caos ottico, ma lo stato ipnotico che aleggia per tutta la durata
induce ad una trance visiva implementata da ritmati suoni
industriali, e mentre vi assistevo un altro film si è
spalancato dietro al corpo vitreo dei miei occhi:
INCARNAZIONI DI BAMBINI
MAI NATI
E il suo ano era una
stella, e la sua vagina una caverna. E io, la proiezione fantasmatica
di me stesso, ancora non-io, eppure io, ero pronto a fare me, o te,
ma ancora non sapevo, quanta vita c’era da morire! Allora mi chiedo: che cosa c’è
in fondo al lago Vostok? Io ho visto, ho visto! Sono arrivato lì
soffiato da un’aurora polare, dondolato e poi spinto sotto le
lastre ghiacciate, attraverso i mammut ibernati da millenni, fino
all’acqua tiepida e accogliente, ed è stato come essere
cullati tra le braccia di quella che chiameremo Madre, lì dove
antichissimi esseri acquatici con una lunga barba di cotone nuotano
placidi e sereni con il loro cervello che brilla sotto un cranio
sottile e trasparente i cui pensieri sono leggibili a tutti e tutti
pensano ai propri fratelli abbandonati sul pianeta Europa una
distanza inconcepibile di tempo fa, proprio lì dove un altro
piccolo sole sorge ogni notte, il profeta Elias è disceso
dalla volta eburnea sul dorso peloso di un’enorme falena
e avvicinandosi alla mia inconsistenza ha donato a non-me un’impolverata VHS
con sopra scritto “Din of Celestial Birds”, e nel momento
in cui la toccai: aiuto. Iniziai la salita poderosa, diventai un
tappo che salta, su, di nuovo, per gli strati di ghiaccio ad una
velocità sonica: il bianco, la luce, un fischio, il nulla,
poi: il suo ano era una stella, e la sua vagina una caverna.
Nostro figlio giace
immobile vicino a noi ricoperto di sangue e materia organica, gli
occhi senza pupille, la bocca sdentata, il corpo macchiato da rosse
chiazze. Io dico: “non avere paura”. Lui dice: “₪”.
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