Il primo cortometraggio di Petra Costa.
L’informazione, seppur stringata, dovrebbe far pizzicare il vostro sesto senso cinefilo perché se siete capitati da queste parti non vi sarà sfuggito l’apprezzamento del sottoscritto nei riguardi della regista brasiliana. La Costa è un’autrice che ha stoffa da vendere e che per sensibilità e raffinatezza è una voce del panorama contemporaneo da preservare con cura. Il preambolo ossequioso (ma sincero, lo spergiuro) mi serve per travasare l’ammirazione verso Petra anche in un piccolo oggetto giovanile come Olhos de Ressaca (2009), di base in questo corto non vi sono elementi capaci di farti dire dire wow, ma, esattamente per tale motivo, per il suo essere “minore”, per il fluire sottotraccia, per l’esprimersi con modalità risapute nell’area cinema, è praticamente un miracolo che comunque riesca a mantenere e a diffondere un’energia, una luce, un suono dolce. In realtà di miracoloso non c’è nulla, è solo merito della Costa che si conferma, sebbene alle prime armi, una fuoriclasse nell’aprire l’intimità all’alterità, cioè a noi, nell’alternare filmati d’archivio a riprese moderne dei propri nonni materni, in sostanza, per spirito personale e delicatezza di fondo, eccoci alle prove generali per il successivo (e a dir poco commovente) Elena (2012).
Tralasciando le possibili implicazioni socio-politiche che troveranno sfogo in Edge of Democracy - Democrazia al limite (2019), Olhos de Ressaca è una riflessione su faccenduole giusto un pelo esorbitanti come l’amore e la vita portata avanti da due narratori esterni, nient’altro che il nonno e la nonna della regista (di solito è sempre stata lei a incaricarsi del commento off), un fine collage di memorie che attraversa il tempo, dal primo incontro alla senilità condivisa passando per le grandi tappe di un’esistenza che nell’ordinarietà sa essere speciale proprio perché è l’esistere in sé ad esserlo, e le immagini che fanno? Seguono passo passo la narrazione, ma solo fino a quando non imboccano diramazioni ulteriori, si appiccicano alla pelle anziana, rubano un bacio, due, tre, rimbalzano da un vecchio frammento matrimoniale alla minuscola fotografia di una nuova nascita, le immagini fanno dunque così: in silenzio, deragliano, eppure non vi è incoerenza o il sentore che ci sia qualcosa di forzato o fuori posto, Petra Costa è un’archeologa dei sentimenti, per riportarli in superficie usa la settima arte, se alcuni suoi colleghi ne ricalcassero le orme il mondo sarebbe un luogo migliore.
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