lunedì 9 gennaio 2023

Bauta

È la stessa squadra di Ad Astra (2016) che sta dietro a Bauta (2018) perché la stessa è l’area di ricerca applicata al cinema. Quindi Paul Tunge e Egil Håskjold Larsen insieme alle musiche di Kim Hiothøy fanno un altro film contemplativo di matrice architettonica. La differenza sta negli oggetti di ripresa: non più delle chiese bensì delle costruzioni pubbliche ovviamente appartenenti sempre alla sfera norvegese (una stazione della metropolitana, una – forse – centrale elettrica, una – altrettanto forse – scuola abbandonata, ecc.). Il punto di contatto con gli edifici religiosi del corto precedente sta nel fatto che anche questi di edifici, così registrati dall’occhio fluttuante di Tunge, appaiono sgombri, vuoti, delle cattedrali nel deserto urbano. Pur non essendoci neanche una nota che vada oltre lo strato meditativo (in Ad Astra c’era: la bara bianca), il regista si afferma come un ottimo tessitore di atmosfere, opinione riscontrabile anche in un altro suo lavoro più strutturato (Demning, 2015), anzi, qui è lecito sostenere che l’Atmosfera, in fondo, è il film in sé perché senza gli accorgimenti tecnici di Tunge e soci rimarrebbe solo una banale carrellata di anonime costruzioni mimetizzate nel grigiore cittadino.

È indubbio che l’accompagnamento sonoro di Hiothøy sia l’elemento indispensabile nella composizione globale. Il repertorio si offre in un tappeto elettronico capace di far viaggiare le immagini su frequenze che non hanno niente a che vedere con la categoria documentaristica, infatti, grazie alla modulazione dei suoni e ad uno scalare di intensità fino a delle parossistiche distorsioni (maggiormente incisive, quasi “aggressive”, rispetto a quelle sentite in Ad Astra), si sconfina nel campo dell’inquietudine, come se il lento movimento della mdp fosse il preambolo per un’apparizione horrorifica o giù di lì. Dal canto suo Tunge, quando si impegna in progetti del genere, continua a ricordarmi i galleggiamenti aerei di Malick ma senza corredi filosofici, le traiettorie che compie sono morbide, avvolgono: conducono, ecco, la sensazione che prevale è un andare per i luoghi del corto in forma eterea, oculare ma non fisica. Non saprei se c’era l’intento di portare all’attenzione del pubblico uno scenario che, privo di particolare beltà estetica, passa inosservato, io mi accontento di fermarmi prima, al potere suggestionante che Bauta, in sordina, emette.

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