Non è una faccenda solo razionale legata al capire, siamo nel 2021, la comprensione logica può anche andare a ramengo, e di questo Makridis ne è consapevole, talmente consapevole che purtroppo ce lo spiattella sullo schermo con una sequenza superflua nella quale uno dei soggetti ricorrenti si mette nei panni di uno spettatore chiedendosi a sua volta cosa accidenti stia guardando. No, è accettabile al giorno d’oggi rimanere invischiati nelle pastoie di un’opera che non si concede, che è refrattaria, che non ammette inclusione, ed anzi, spesso è perfino auspicabile!, il patto che però si stringe col regista di turno è che perlomeno vi siano degli elementi in grado di compensare lo squilibrio. Tali elementi sono variegati, possono riguardare l’invisibile, ovvero un fascio di energia che si sente, che coagula la frammentarietà messa in campo, o possono essere concreti come una tematica o un argomento generale che ogni tanto affiora per garantire un salvagente. Per Birds non sono riuscito a trovare niente di simile, al massimo pare di rapportarci con un prolungato esercizio di stile (ma di che stile stiamo parlando? Boh...), un’espressione cinematografica che è interessata a raccontarci null’altro che non sia il metodo espositivo che la caratterizza, il che troverà l’assenso di qualcuno, in fondo ci sono delle “immagini”, ma quel qualcuno non posso essere io. Forse ho maturato un pregiudizio troppo arcigno verso la cricca di Lanthimos, o forse il lavoro di Makridis è da rivedere, se non da rifondare in toto.
lunedì 27 settembre 2021
Birds (or How to Be One)
Dopo due
prove lanthimostyle di cui non sentivamo la mancanza come L
(2012) e Miserere (2018), Babis Makridis con Birds (or How
to Be One) (2020) sposta
finalmente il suo cinema dalle secche di un’onda greca ormai
ridotta a innocuo spruzzo, ma, è meglio frenare immediatamente
l’entusiasmo, la transizione non è totale e quindi, comunque, si
percepisce un substrato derivante dalle manifestazioni elleniche del
decennio scorso, non tanto per l’impostazione, quanto per
l’eccentricità che avvolge il tutto, va da sé che per il
sottoscritto, alla fine, ciò che rimane maggiormente in fatto di
somiglianze con la vague
di riferimento sono i difetti, e non certo i pregi. La traccia di
partenza è la commedia Gli uccelli
di Aristofane dove, per sintetizzare, due uomini si mettono in testa
di costruire una città nel cielo, in Birds la
vicenda è per sommi capi traslata in un prontuario costituito da
diversi step mirato alla mutazione dell’essere umano in volatile.
Il registro utilizzato da Makridis è ibrido e mescola un taglio
documentaristico con finestre stravaganti che constano di casting o
robe simili, interviste a personaggi bizzarri, tizi o tizie che si
esprimono in modo autistico (un retaggio del passato che
evidentemente non si vuole perdere) e performance teatrali che
potrebbero definirsi come sperimentali ma lascio ad altri magari più
esperti il giudizio. Il risultato? Un minestrone dove ad esclusione
di una delle prime scene con il divertente birdwatching nel parco
pubblico che pareva far promettere bene, la confusione spadroneggia e
pur mettendoci la massima dedizione si affaccia il pericoloso dubbio
che scorticata via la patina sghemba non ci sia altro che un vuoto
coperto da una foglia di fico artistoide.
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