Per curiosità sono andato a cercare le copertine di Solenoide nelle diverse traduzioni uscite in giro per l’Europa a partire dall’edizione originale edita da Humanitas, la casa che ha l’onore di pubblicare Mircea Cărtărescu prima di tutti gli altri, e ho riscontrato che in Rete se ne possono trovare ben due all’ombra del drapelul: una ha il titolo monolitico che campeggia in bella vista con sopra il nome dell’autore, mentre l’altra offre una rappresentazione di quello che potrebbe essere un quartiere urbano visto da un pittore simil-cubista. La versione spagnola ha invece puntato su uno dei luoghi cardine del libro, ovvero la casa a forma di barca dove vive il protagonista, mentre quella tedesca al pari della francese ha fatto un po’ come la pubblicazione rumena, titolone d’impatto e via (anche se l’editore transalpino dietro le lettere ha stampato un disegno che forse – e ripeto: forse – è la piantina di una città, dallo schermo non si riesce a capire). Questa premessa per arrivare a parlare della “nostra” cover a firma del Saggiatore che ha strappato il maestro bucarestino dal parterre de rois di Voland mantenendo però il medesimo traduttore, il prode Bruno Mazzoni. Lì a Milano le copertine le sanno fare, e pure bene, l’intero catalogo ha un forte carattere identitario, se vai in libreria e vedi un volume bianco con un’immagine che attira l’attenzione stai per certo che è roba loro, per Solenoide, opera attesissima la cui uscita è stata rimandata più volte negli anni incrementando la bramosia di noi poveri lettori in attesa, il lavoro svolto a livello visivo non si è subito segnalato in fatto di memorabilità, il pensiero che ho avuto quando sono iniziate a circolare le prime foto è stato che un volume così importante meritava una veste migliore. Però poi leggendolo, venendo risucchiato da questo formidabile luna park di invenzioni letterarie, ho cambiato idea. A farmi guardare le cose in maniera diversa ci ha pensato uno degli ultimi capitoli, il quarantacinquesimo, dove il protagonista compie un viaggio psico-fisico dentro... una colonia di acari, nel cuore di un universo apparentemente minuscolo che nei fatti si rivela non così diverso dal suo. Ecco allora che la scelta saggiatoriana assume una pregevole valenza concettuale, quasi da istruzioni per l’uso: entrare in contatto con Solenoide, toccarlo e guardarlo per la prima volta, significa affacciarsi su un oblò circondato da tracce ematiche che fornisce l’accesso ad un altro mondo: Bucarest, epicentro narrativo da cui si dipanano in ogni direzione possibile (e impossibile) altre storie che appartengono ad ulteriori galassie immaginifiche. È un movimento catabasico perché ci sono delle concrete discese dantesche nel romanzo (c’è anche la guida adatta: Virgil), e al contempo permane una traiettoria panottica, dove io, dall’alto, riesco a leggere tutto, ma solo fino a quando non mi rendo conto di essere letto, e allora il mio sguardo divino diventa lo sguardo di un insetto: avere i pidocchi ed essere me medesimo il pidocchio che zampetta sul cranio (rimane una delle parole più usate dal Cărtă) di un gigante sepolto. Solenoide è una faccenda di prospettive, e quindi di grandezze, che mette in relazione le unità di misura dell’esistenza attraverso la letteratura. È un libro maestoso a cui bisogna inchinarsi con ammirazione perché partorito dalla mente dello scrittore più visionario e più geniale che calpesta insieme a noi il suolo di questo sassolino verdeazzurro disperso nello spazio.
Rimanendo nella produzione di Cărtărescu viene automatico fare dei paragoni con Abbacinante, l’epocale trilogia di cui avevo tentato di parlare affrontando l’ultima parte, Abbacinante. L’ala destra (Voland, 2016). Inizialmente la percezione che il sottoscritto ha avuto durante le prime quattro, cinquecento pagine di Solenoid è stata di un’organicità differente rispetto ad Orbitor. Spiego: nel trittico la struttura narrativa possedeva un impianto che a prescindere dai soliti incredibili slanci nel surreale manteneva certi capisaldi che ritornavano ciclicamente nella storia, su tutti il concetto di simmetria simbolizzato dalla farfalla e canalizzato nel rapporto con il gemello perduto Victor (ripreso pari pari, tra l’altro, anche in una parentesi del suddetto romanzo). Qui le cose aumentano di complessità in modo esponenziale tanto che in maniera molto sbrigativa e superficiale si potrebbe considerare Solenoide fino ad almeno la sua prima metà una raccolta di racconti. Affermazione da stolti, lo so, però il susseguirsi dei capitoli ha nella lunga fase preliminare una forte indipendenza tra un passaggio e quello successivo, ok, il caro narratore utilizza come escamotage per raddensare il suo fiume di inchiostro l’idea dello scrivere un diario per mettere ordine tra le anomalie che hanno caratterizzato la sua vita, però la carrellata di stranezze che partono con lo spago generato dall’ombelico, passano attraverso la pelle semovibile di un soldato, i diorami di insetti giganti, amplessi volanti, un’enorme bambina che dorme in una fabbrica abbandonata, misteriosi visitatori notturni e via (via elevato al quadrato) dicendo, non ha nel concreto una marcata concatenazione effettiva. Non me ne lamentavo durante la lettura, e non me ne cruccio nemmeno ora che riordino i pensieri conclusivi, lo metto agli atti e ne prendo coscienza, è un’opera diversa, e questo Cărtărescu lo ha ribadito più volte durante le varie interviste, e lo è al di là della componente strutturale, ci sono digressioni storico-biografiche molto gustose su personaggi realmente esistiti (il matematico George Boole, i fratelli Mina e Nicolae Minovici, lo psicologo Vaschide – stratosferica la porzione a lui dedicata) che rappresentano un po’ una novità, ma, ovviamente, è anche un’opera che ha grande continuità con il capolavoro precedente perché lo stile di Mircea è sempre unico e grazie ai suoi interessi che esulano dalla letteratura e sconfinano nella medicina, nell’astronomia, nella matematica, nella fisica e nella metafisica, la sua prosa rimane sublime e ti fa sentire un asinello che mastica lento la carota quotidiana nel piccolo recinto in cui vive, e poi non si può sbagliare di fronte ai portentosi squarci onirici, le descrizioni di Bucarest o l’implacabile creatività che cinge ogni cosa (forse il mio episodio preferito è quello del vaso blu e in seconda posizione l’abduction aliena ai danni del custode), è un libro di MC, bastano tre righe per capirlo.
A viaggio inoltrato (mi sono segnato il capitolo numero trentasei come sorta di spartiacque) ho intuito, e non capito perché ora si entra in un territorio decisamente più grande di me, che quell’organicità citata poc’anzi non andava ricercata nei meccanismi di causa ed effetto che costituiscono le storie “normali” ma nella forma geometrica che è il Sacro Graal del romanzo: l’ipercubo o tesseratto. Lasciate perdere il rovello metaletterario del protagonista impegnato a scrivere il proprio memoir che poi risulta essere il libro che stringiamo tra le mani, Cărtărescu è un fenomeno nel gestire la faccenda ma l’operazione in sé non può venire considerata innovativa né troppo unificante in un’ottica globale, no, è doveroso concentrarsi su un piano... dimensionale, in particolare quello che va oltre le coordinate da noi conosciute. Per spiegarmi meglio prendo ad esempio quella critica che ha spesso ribadito di come gli scritti di Pynchon del passato avevano a che fare con la fisica quantistica, dal mio umile cantuccio sento che Solenoide è sulla medesima scia teorica, che l’impetuoso torrente che gli scorre dentro esonda per sua natura dagli argini della letteratura andando a fertilizzare e fertilizzarsi in altri campi di ricerca, cosicché le cinquantuno sezioni che lo formano sono le facce di un cubo impensabile ma che, in un luogo che non necessita della larghezza, della profondità e dell’altezza, esiste, esattamente come la casa-nave del Nostro, una dimora così piacevolmente simile a quella inventata da Mark Z. Danielewski che muta di stanza in stanza le cui porte fanno da ingresso a realtà ulteriori, si veda la salita nella torretta con Irina e le inerenti visioni psichedeliche. Dire che vi sia un’armonia coagulante non tanto negli eventi stampati su carta quanto nella concettualità perseguita dall’autore, peraltro in una materia non umanistica, è un’affermazione che comprendo discutibile, tuttavia l’invito è di fare in prima persona questa esperienza di decodifica per toccare quelle vette di apertura artistica per cui ad un certo punto gli innumerevoli anelli pensati dal rumeno si uniscono in una catena di senso compiuto perché comunque l’approssimarsi del finale ha una sua progressione ed elementi/situazioni/personaggi ritornano per suggerire una sensazione di compiutezza.
Per i punti che rimangono oscuri, e non sono pochi, il tasso di suggestione tampona qualunque obiezione razionale. Nello strabordare generale mi va di sottolineare un altro congegno molto interessante messo in atto da Cărtărescu dove seguendo nuovamente un po’ il filo conduttore di Abbacinante si spinge sul tema del doppio ma declinato in una autofiction riflessa in uno specchio deformante. Non è infatti difficile vedere nel protagonista, un docente le cui velleità di scrittore sono state troncate durante la lettura pubblica del suo unico lavoro La caduta, il negativo del “vero” Mircea, lo scrittore affermato che vive della sua arte. Il rimpallo tra il contesto finzionale e la realtà fuori dal volume, seppur mimetizzato in mezzo a miriadi di altre cose, c’è e arricchisce il substrato intellettuale dell’opera. D’altronde non ci si deve stupire dell’abbondanza e della qualità a cui si va incontro, ritengo che Cărtărescu sia un Kafka nato settant’anni dopo che ha assimilato le principali correnti del ’900 mettendoci dentro il suo vissuto durante i complicati periodi passati sotto la dittatura di Ceaușescu. La misura della sua stazza, confermata da alcune dichiarazioni, è data anche dal fatto che scrive ancora tutto a mano sopra dei comuni quaderni e, aspetto che lascia allibiti, non esiste praticamente editing per i suoi romanzi, quello che butta giù è quello che viene mandato in stampa, un fluire vergine di parole che proviene direttamente dalla fonte in maniera pura e cristallina: meraviglia. Ma cerco di darmi un contegno, ci sono stati due o tre aspetti in Solenoide che invece ho gradito un filo meno, ad esempio le annotazioni dei sogni che non mi è parso aggiungano granché alla narrazione, oppure i capitoli ambientati nel preventorio che ricalcano il clima di Travesti (Voland, 2000 1° edizione), ma la parte su cui mi sono scervellato maggiormente è il finale. Cioè, è un finale grandioso, apocalittico, colossale, però, se ben ricordo, è davvero simile alla conclusione de L’ala destra, in entrambi i casi la scelta è di chiudere i conti con una solenne ascensione verso il cielo, vieppiù che lo scenario dove l’azione si svolge divenendo teatro di un’entomologa Creazione di Adamo per mezzo del contatto con l’immane statua della Dannazione, riaccade nell’Obitorio con modalità equiparabili a ciò che avevamo letto durante l’esplorazione insieme a Virgil, va bene l’evidenziazione del cambio di ruolo del protagonista da persona qualunque a leader illuminato, però in termini di aspettative avrei preferito venisse posizionato un punto diverso al termine dell’infinito discorso. Trattasi di sottigliezze comunque, osservazioni di una formichina che scribacchia nella sua cameretta interrata.
E poi alla fine ho fatto quello che dovevo fare, ho chiuso Solenoide e l’ho messo nella mia piccola biblioteca a sinistra de... L’ala sinistra, forse non è cronologicamente corretto ma il tomo del Saggiatore è più alto di qualche centimetro rispetto a quelli di Voland e quindi per banale ordine visivo mi è garbato così. Dopodiché ho fatto un passo indietro per vedere meglio tutti quei dorsi colorati, quelle costole di un organismo coricato in perenne espansione e infine sono andato a dormire. La prima notte è passata tranquilla. Durante la seconda un ronzio proveniente dalla libreria mi ha svegliato, allora a piedi scalzi mi sono avvicinato alla fila di libri e ho notato che Solenoide pulsava di una luce aurea, e insieme a lui altri tre o quattro volumi molto importanti, almeno per me. Avrei potuto sfilarlo via, riaprirlo, toccare ancora quel parallelepipido di carta e inchiostro, ma ho preferito lasciarlo lì perché lì è il suo posto, nodo energetico della letteratura contemporanea, chakra risplendente nel corpo delle parole del mondo. La terza notte ho d’improvviso aperto gli occhi e subito mi sono sentito leggero, sgravato dal peso delle afflizioni notturne, il soffitto era più vicino e sotto di me non c’era traccia né delle coperte né del materasso, levitavo in aria, sospeso nella stanza amniotica, rischiarato dal bagliore dei miei amati libri.
la recensione fa venire voglia di leggere il libro, e le ultime righe sono bellissime, lucciole che rischiarano la notte
RispondiEliminaSarebbe bellissimo per me se qualcuno leggendo le mie righe decidesse di affrontare questo grande autore, ne sarei davvero felice.
RispondiEliminaL'ultimo paragrafetto è solo un piccolo omaggio a ciò che accade al protagonista del romanzo. Ogni tanto, ma proprio ogni tanto, riusciamo a volare.
anche io ho usato il verbo volare
RispondiEliminadal primo settembre sarò in pensione, e ho scritto una lettera ai miei alunni.
se hai voglia di leggerla è qui:
https://www.labottegadelbarbieri.org/maledetti-vi-amero/
ciao
Pazzesco Ale, sono mesi che penso ininterrottamente a comprare questo libro, ogni volta che passo alla feltrinelli lo osservo, lo prendo in mano e lo contemplo memore della tua splendida recensione su Ala destra (trilogia che devo leggere assolutamente prima o poi) ma poi ne sono talmente intimorito che lo lascio sempre li, più che la mole temo la potenza che racchiude e il modo in cui potrebbe cambiarmi dentro... Non so spiegarti il perché di questa sensazione... Fatto sta che in sti giorni pensavo che se qualcuno l avesse letto quello eri sicuramente tu e speravo che prima o poi ne avresti parlato...ed eccomi qua apro la pagina e mi trovo davanti cotanta imponenza *_* spero di riuscire a superare il blocco e a comprarlo perché sento che sarà una di quelle cose di cui sentirò impellente il bisogno di confrontarmi con qualcuno [Dries]
RispondiEliminaAllora allora, secondo me vale la pena partire dalla trilogia, o almeno dall'Ala sinistra che è anche il volume più piccolo e in caso non ti piacesse avresti "usato" al massimo un mesetto o anche meno del tuo tempo. In tutti i giudizi che si esprimono c'è della soggettività, e quindi, ovviamente, anche nei miei: a me piacciono i testi che esondano, che aspirano a un "tutto", testi massimalisti fitti di parole che non conosco, e Cartarescu scrive così, ha la forza di sorprendere ed è un pregio non da poco, perché magari per pagine e pagine tiene bassi i giri del motore, descrive la "solita" vita a Bucarest, prende a piene mani dal suo passato, dalla sua infanzia soprattutto, e poi d'improvviso accelera, apre la sua narrazione come se si schiudesse un fiore e tu diventi un'ape ubriaca di polline dentro al pistillo e ti chiedi "ma come ha fatto a pensare una cosa del genere?", boh, è una questione di mente superiore, ad un altro livello, che poi se lo si ascolta nelle interviste o si visita la sua pagina Facebook è una persona normalissima con la sua casa vicino al bosco, la moglie bionda, il figlio teenager, non so, scrivo ancora un po' sull'onda dell'entusiasmo ma parliamo di quello che a mio avviso è sul serio un peso massimo della letteratura contemporanea. Lo consiglio con tutta la voce che ho.
RispondiEliminaSi, avevo il sentore che per entrare meglio nel suo universo fosse opportuno iniziare con Orbitor, però solenoide esercita su di me un fascino inspiegabile, già il titolo mi da l'impressione di qualcosa di immenso e in continua espansione, prima di scoprire che un Solenoide è semplicemente una sorta di circuito elettrico ero convinto fosse una specie di galassia, questo per dirti come mi ha già sconvolto l immaginario senza neppure averlo letto xD ps-non c entra nulla con cartarescu ma un altro libro che mi stuzzicava era IL GRIDO di funetta ma è introvabile a parte un tedesco che lo vende su ebay ma non mi sembra troppo affidabile :( Dries
EliminaAnche io non sapevo cosa fosse un solenoide prima della lettura e questo non sapere forse mi ha fatto anche perdere qualcosa sul piano dei possibili significati, senza anticiparti troppo, questi aggeggi sono presenti nel romanzo ma... Con molti "ma", se devo essere sincero non ho capito appieno la loro funzionalità all'interno della storia ma indubbiamente il tutto è molto affascinante.
EliminaStrano che Il grido sia già fuori catalogo, è uscito solo qualche anno fa! Hai provato a vedere direttamente sul sito di Chiarelettere? Comunque Funetta è uno che ha sicuramente letto Cartarescu.
No, sul sito c'è un link x ibs ma è inattivo... Appena torno a milano comunque lo cerco per bene :) Dries
Eliminaqualche poesia:
RispondiEliminahttp://www.nuoviargomenti.net/poesie/il-poema-dellacquaio-poeti-rumeni-contemporanei-1/
Di poesia ne so meno di zero ma direi che lo preferisco quando scrive in prosa :)
RispondiEliminaBellissima
RispondiEliminalo compro!
RispondiEliminaVai tranquillo/a, garantisco io :D
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