Dei
consueti canoni narrativi non se ne può più già da molto tempo,
allora ben vengano tentativi di aggirare la materia-racconto
inquadrandola da angolazioni che non restituendone la banale
immediatezza, la facile frontalità o la veloce lettura, sanno
rimandare al nucleo concettuale perseguito. Delle avvisaglie ci erano
state fornite con Inassenza (2012)
dove Domenico De Orsi (ma è più corretto riferirsi al collettivo
capitolino Purple Neon Lights) aveva provato a destrutturare una
storia tutto sommato semplice con specifici accorgimenti tecnici, in
Sete Rimane Sete
(2016) il proposito si radicalizza visto che di una storia
non rimangono che brandelli confidati ad un dispositivo telefonico,
ma, proprio per il suo essere così scentrato rispetto ad un nitido
focus (che in questo caso sarebbe eminentemente sentimentale), ne
riesce comunque ad offrire dei riflessi non meno luminosi. È il
monologo di una donna che fluttua tra le correnti del ricordo il
quale, come da tradizione amorosa, riesce ad essere presente anche se
si consuma nel passato perché del resto per una persona innamorata e
non corrisposta il tempo si concentra in un
doloroso e sempiterno adesso,
così, giocando un po’ come la grafica dei crediti in video che
unifica nomi e cognomi, se noi al contrario scomponiamo il titolo
ecco che si palesa un manifesto: se te rimane se te, per il cuore
ferito non vi è certezza nell’altro, la congiunzione permane
ipotetica poiché naviga nella libertà tanto avversa.
Il
punto nodale del cortometraggio non è però la componente
letteraria ma la sua interdipendenza con l’area estetica, a fronte dell’apparente inconciliabilità tra le parole e le riprese accade
ciò che chi scrive auspica sempre durante una visione, ovvero che la
costruzione di un senso sia a carico dell’umano osservatore e non
dell’oggetto osservato, e qui la cornice naturale (è il mare della
Sardegna) aiuta a rendere il respiro del legame in crisi piuttosto
ampio e forse anche profondo, d’altronde non lo scopre di certo il
sottoscritto che il cinema è arte per immagini e che all’interno
di esse vivono e muoiono mondi di sconfinato splendore. Difatti Sete
Rimane Sete,
a prescindere dal rispettabile accostamento, perde terreno nella
specificità del testo e in alcune battute che stridono con lo
spirito dell’opera, si senta “il tuo odore era come l’ossigeno
per me”, “ti ho dentro di me non riesco a levarti da qui” o
“per addormentarmi abbraccio il tuo cuscino, sento il tuo odore”
(ripetizione), sono espressioni inflazionate che, richiamando
altri contesti (televisivi, pop, ecc.), mal si coniugano con lo
slancio visivo abbinato. Niente male, invece, il parallelo
conclusivo del frigo perché poco altro al mondo trasmette solitudine
e malinconia quanto un frigorifero vuoto. Brava davvero poi, almeno
per quel che mi ha permesso di percepire, la voce narrante.
Grazie a Nicola Pertino.
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