giovedì 1 marzo 2018

Sete Rimane Sete

Dei consueti canoni narrativi non se ne può più già da molto tempo, allora ben vengano tentativi di aggirare la materia-racconto inquadrandola da angolazioni che non restituendone la banale immediatezza, la facile frontalità o la veloce lettura, sanno rimandare al nucleo concettuale perseguito. Delle avvisaglie ci erano state fornite con Inassenza (2012) dove Domenico De Orsi (ma è più corretto riferirsi al collettivo capitolino Purple Neon Lights) aveva provato a destrutturare una storia tutto sommato semplice con specifici accorgimenti tecnici, in Sete Rimane Sete (2016) il proposito si radicalizza visto che di una storia non rimangono che brandelli confidati ad un dispositivo telefonico, ma, proprio per il suo essere così scentrato rispetto ad un nitido focus (che in questo caso sarebbe eminentemente sentimentale), ne riesce comunque ad offrire dei riflessi non meno luminosi. È il monologo di una donna che fluttua tra le correnti del ricordo il quale, come da tradizione amorosa, riesce ad essere presente anche se si consuma nel passato perché del resto per una persona innamorata e non corrisposta il tempo si concentra in un doloroso e sempiterno adesso, così, giocando un po’ come la grafica dei crediti in video che unifica nomi e cognomi, se noi al contrario scomponiamo il titolo ecco che si palesa un manifesto: se te rimane se te, per il cuore ferito non vi è certezza nell’altro, la congiunzione permane ipotetica poiché naviga nella libertà tanto avversa.

Il punto nodale del cortometraggio non è però la componente letteraria ma la sua interdipendenza con l’area estetica, a fronte dell’apparente inconciliabilità tra le parole e le riprese accade ciò che chi scrive auspica sempre durante una visione, ovvero che la costruzione di un senso sia a carico dell’umano osservatore e non dell’oggetto osservato, e qui la cornice naturale (è il mare della Sardegna) aiuta a rendere il respiro del legame in crisi piuttosto ampio e forse anche profondo, d’altronde non lo scopre di certo il sottoscritto che il cinema è arte per immagini e che all’interno di esse vivono e muoiono mondi di sconfinato splendore. Difatti Sete Rimane Sete, a prescindere dal rispettabile accostamento, perde terreno nella specificità del testo e in alcune battute che stridono con lo spirito dell’opera, si senta “il tuo odore era come l’ossigeno per me”, “ti ho dentro di me non riesco a levarti da qui” o “per addormentarmi abbraccio il tuo cuscino, sento il tuo odore” (ripetizione), sono espressioni inflazionate che, richiamando altri contesti (televisivi, pop, ecc.), mal si coniugano con lo slancio visivo abbinato. Niente male, invece, il parallelo conclusivo del frigo perché poco altro al mondo trasmette solitudine e malinconia quanto un frigorifero vuoto. Brava davvero poi, almeno per quel che mi ha permesso di percepire, la voce narrante.

Grazie a Nicola Pertino.

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