sabato 3 marzo 2018

Continental, a Film Without Guns

Presentato al Festival di Venezia ’07, Continental, un film sans fusil (2007) è un debutto firmato dal canadese Stéphane Lafleur che si instrada nella folta categoria del film corale, e direi che per stile, tematiche e tendenza ad instillare asprezze nella normale esistenza delle persone siamo nei territori di Todd Solondz, infatti anche per Lafleur la vita che il cinema può raccontarci è quella di miseri cristi alle prese con magagne atterrenti, abbiamo una moglie improvvisamente abbandonata, un assicuratore lontano dalla famiglia che pare abbia delle divergenze con la consorte, un rigattiere che non ha il denaro per pagarsi un’operazione ai denti e una receptionist paranoica, in più questo manipolo di personaggi deve fronteggiare quella dura pietra che corrisponde al nucleo dell’opera: la solitudine. Curioso il fatto che il filone della coralità nella settima arte abbia spessissimo affrontato la condizione dell’uomo emarginato in un contesto sociale comunque abbastanza abbiente, il sentirsi isole, ed esserlo nel concreto, pur vivendo in una realtà sempre più iperconnessa è un paradosso del contemporaneo che dovrebbe essere studiato approfonditamente dalla sociologia, ammesso che non lo sia già. Il fatto che tutti i personaggi del film siano soli non è altro che la conseguenza dell’incipit dove l’uomo (vero che è il marito, ma vero anche che è sineddoche, il suo abbandono lascia orfani le altre pedine della scacchiera), senza che venga spiegato il motivo, si inoltra nel buio impenetrabile di un bosco.

Lafleur da questo momento in poi inizia a tessere la sua tela tramica che, come da tradizione, permette ai vari esseri umani sulla scena di incontrarsi, di sfiorarsi, di illudersi per un attimo che quel malessere si possa in qualche modo lenire, ma, come nuovamente da tradizione, è difficile che ci possa essere un ribaltamento esistenziale, la rivincita non è un termine contemplato nel vocabolario dei soggetti sotto esame e Lafleur segue attento questi precetti disegnando un quadro complessivo dotato di una credibilità e di una logicità apprezzabili (si storce il naso solo una volta, quando il rigattiere riceve troppo facilmente dei soldi per il presunto avvistamento del fuggitivo). Camminando sul crinale che divide la commedia dal dramma, il regista non disdegna sguardi verso il panorama del grottesco, forse non riesce ad essere davvero “cattivo” al pari di altri colleghi (il già citato Solondz o in Europa Seidl e Östlund per menzionare i primi balzati alla mente), ma un paio di situazioni strappano dei sorrisi amari, risultato diretto di un’umanità che affannandosi a cercare un rimedio alla propria condizione non fa altro che inciampare nel ridicolo agli occhi dello spettatore, il quale riceve da Lafleur un trattamento rispettoso, senza accenti né intensificazioni di sorta (d’altronde lo ricorda il titolo: non vi è azione in Continental) l’effluvio della malinconia si diffonde sottile.

Chi cerca dell’originalità non potrà trovarla nell’opera prima di Lafleur, che, fra l’altro, si rivelerà regista di un certo spessore portando i suoi due lungometraggi susseguenti rispettivamente a Berlino e a Cannes, eppure non scanserei la possibilità di sfogliare ancora una volta, e poco importa se sia l’ennesima quando il risultato è godibile, il grande libro delle afflizioni minime della nostra razza.

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