lunedì 20 dicembre 2021

This Magnificent Cake!

Perché non accogliere la proposta di artisti che fino ad un certo punto razzolavano nel sottobosco dell’animazione e poi ad un altro di punto decidono di lanciarsi in un’opera più lunga e quindi più strutturata? La domanda ha risposta ovvia, soprattutto se i registi in questione sono Emma De Swaef e Marc James Roels, chi?!, domanderete voi accigliati, ma ovviamente gli autori di un ottimo corto animato che rispondeva al nome di Oh Willy... (2012), adesso per il duo è diventato il momento di diventare “grandi”, o almeno di crescere quel tanto che basta per staccarsi dal mordi e fuggi del cortometraggio, il risultato è Ce magnifique gâteau! (2018) un oggetto che sta in bilico tra il medio ed il lungo e che, per impostazione narrativa, si fa apprezzare: occhio, non è il cosa ma il come: ri-occhio, il film è suddiviso in capitoli brevi tutti riguardanti la realtà ottocentesca delle colonie belga in Africa, non abbiamo connessioni dirette, cause, concause e relativi effetti, ma leggere epifanie, rimandi trasparenti che uniscono, a modo loro, l’essenza episodica di This Magnificent Cake!. Ma se stiamo parlando di animazione, quella bella, in stop-motion, zeppa di inventiva e trovate pregevoli, allora le tattiche del racconto utilizzate, alla fin fine, non interessano nemmeno troppo, difatti è molto più appagante ammirare il lavoro manuale dei filmmaker che si traduce sullo schermo in un ricercato affresco “casalingo” inevitabilmente di maggior impatto rispetto al titolo precedente. Ancora lana e feltro sia per ometti dalle guance rosse che per ambienti esterni quali grotte o giungle, però con cura e maestria ulteriore, nelle luci, nella fluidità dei pupazzi, nelle angolazioni di ripresa, ora esagero: a tratti quasi ci si scorda di stare guardando un prodotto animato.

Vero che mettersi a dissertare sulla scrittura di Ce magnifique gâteau! potrebbe apparire la diluizione del brodino recensionistico (… potrebbe?), tuttavia questa scrittura sembra che un messaggio voglia recapitarcelo, e forse anche più di uno. Il primo, il maggiormente constatabile, si riferisce ad una sorta di critica al colonialismo europeo, non è una ramanzina né un perentorio j’accuse, c’è piuttosto dell’ironia, sardonica (qualcosa che, alla lontana, non sarebbe una bestemmia associare a Seidl) e scorretta, i bianchi vengono dipinti come beoti che se ne fottono di chi hanno intorno (è un’immagine triste e al contempo crudele quella del pigmeo usato come posacenere umano). Comunque sia la chiave di lettura del mettere alla berlina il vile sistema delle colonie occidentali nel continente nero attraverso la derisoria caricatura dei suoi interpreti non sembra essere il fine ultimo di De Swaef e Roels perché un altro tipo di feeling viene ad instaurarsi, ed è dovuto ad un maneggiare argomenti che lambiscono l’abisso, come la morte, e ce ne sono parecchie in tre quarti d’ora, anche violente, o come il sogno, tanto che diventa impossibile capire dove finisce e dove inizia la dimensione onirica (si guardi la succosa scenetta weird con la lumaca), e perciò si ritorna sempre al fascino del bizzarro, marcato o meno, di codesti esemplari cinematografici, alla forza che ogni volta possiedono nel ripresentarsi così, oscuri, indecifrabili, teneri, elusivi, e al sentimento di benevolenza che, complice la loro realizzazione, è automatico provare.

2 commenti:

  1. a proposito di animazione ieri ho visto J'ai perdu mon corps, di Jérémy Clapin, molto bello

    intanto ho trovato Oh Willy... su Vimeo, me lo guardo

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  2. Sono entrambi due esempi di animazione molto godibile. Clapin ha già fatto il salto entrando nel circuito di Netflix, questi due animatori lo faranno tra poco perché è in post-produzione una loro serie sempre su Netflix. Per banale gusto personale tendo più ai lavori di De Swaef e Roels, ho un debole verso burattini e affini in salsa stop-motion.

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