
A tratti
bruttarello, a tratti un po’ meno, Amor eterno (2014), il
secondo lungometraggio del barcellonese Marçal Forés, comincia da
un cliché a dir poco logoro: il carismatico docente, in questo caso
di lingue orientali, seduce il discente timido e taciturno, la
relazione che si crea (se così può essere chiamata) è in voluta
contrapposizione con il titolo ed il correlato incipit in cui si
affronta (per la prima e ultima volta), in un segmento effettivamente
slegato dal resto, la tematica dell’amore e della sua possibile o
implausibile eterna durata. In quanto accade dopo non c’è amore,
c’è, al massimo, desiderio, perversione, smania, tutti elementi
che Forés concentra in un boschetto (dovrebbe essere un’area del
Montjuïc se ho ben capito) e dove registicamente parlando sembra
trovarsi a suo agio, gli uomini che si aggirano furtivi ma ebbri di
piacere tra le frasche ricordano per forza di cose le anime perdute
de Lo sconosciuto del lago
(2013) mentre ad una visione più generale pare che Forés abbia
ammirato e apprezzato l’opera di João Pedro Rodrigues (l’immagine
di un tizio nudo prono sull’erba è un’istantanea-simbolo che lo
ricorda), chiaro che la classe di Guiraudie e del collega portoghese
sono chimere irraggiungibili, rimane però il tentativo di
estetizzare un peccaminoso limbo di solitudini con una forma che può
possedere dei piccoli motivi di interesse, nulla che faccia
trascendere, solo l’apprezzabile sforzo nel creare un’atmosfera
non subitaneamente leggibile.
Mettendo
un attimo da parte il clima che Forés è riuscito ad effondere
(merito anche di oblique distorsioni musicali), emerge una modestia
di fondo che sfoca non di poco l’impronta stilistica. Mi è parso
in stretta sintesi che non ci sia nulla di stimolante sotto la
cortina visiva, anzi se andiamo a riflettere sullo schietto intreccio
ci si rammarica di aver puntato lo sguardo su Everlasting
Love, l’avvicinamento tra
Carlos e Toni è manualistico, schematizzato dai netti ruoli
interpretati, in aggiunta la ramificazione thriller, scandita dalla
presenza di altri studenti alquanto strambi, è l’infarcitura che
non sfama, infatti la deriva splatter che si manifesta nel finale non
ha convincente attinenza con l’argomento portante, risulta più che
altro un colpo ad effetto per impressionare la platea, operazione
fallita perché siamo abbastanza scafati da non cadere in trappolette
del genere. Comunque, per quanto possa essere utile all’umanità
intera, devo ammettere che partendo con l’idea di massacrare il
film in oggetto sono finito in una grigia zona di biasimo, con
qualche riserva.
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